L’asse franco-tedesco? Uscito ufficialmente dalla porta (con la bocciatura del socialista francese Frans Timmermans) è rientrato in poche ore – e altrettanto ufficialmente – dalla finestra. Come? Con Ursula Von der Leyden, popolare e tedesca indicata dal Consiglio europeo a capo della Commissione Ue, e Christine Lagarde, francese, ex Fmi, nuovo presidente della Bce.
Insomma, a qualche giorno di distanza dalle nomine dei top jobs dell’Ue, nonostante la crisi politica dei maggiori partiti di riferimento dell’asse Ppe-Pse, si conferma chiaramente una verità strutturale: lo strapotere della Germania, seguita dalla Francia, nelle alte burocrazie comunitarie. Un’intesa tecnocratica e “sovra-partitica”, dato che è frutto – anche nella legislazione appena battezzata – di un accordo di spartizione fra avversari politici (stavolta a tre, con i liberali macroniani che si sono aggiunti alla Grosse Koalition fra popolari e socialisti) e fra Stati. Tutto questo alla faccia del “messaggio” politico uscito dalle urne il 26 maggio che ha registrato – al di là della lettura manierista dei media ufficiali – un risultato tutt’altro che brillante per i partiti del blocco eurofilo e per i governi che hanno determinato, nel bene ma soprattutto nel male, la politica comunitaria nell’ultimo quinquennio.
Nonostante questo, dissumulata dietro la maschera dell’union sacreé contro i sovranisti e i populisti, l’Ue “legale” si ritrova ancora una volta germanocentrica con una sostanziosa appendice francofona. Tedesca, infatti, è la conformazione storica dell’euro (pensato come un marco “europeo”), tedesco è l’arbitrio nell’infrazione sul surplus commerciale mentre francese è quello dell’infrazione del vincolo del 3%, superato più volte – come se nulla fosse – dai governi oltralpe in nome di un surreale «eccezionalismo», valido evidentemente solo per loro. Ma anche la crisi finanziaria, quella che ha messo in ginocchio le nazioni mediterranee, è targata asse franco-tedesco, se è vero come è vero che Germania e Francia hanno scaricato sui contribuenti europei i debiti accumulati dalle proprio banche che speculavano sulle nazioni indebitate.
Tutto ciò evidenza, oggi come ieri, come la gestione politica ed economica dell’Ue è di fatto un affare destinato a un club ristrettissimo, abile nell’utilizzare il mantra dell’europeismo per celare in realtà i peggiori egoismi nazionali. È vero, però, che quest’asse ha subito – anche con la bocciatura dell’accordo di Osaka – una prima sconfitta politica grazie all’epifania dell’intesa Italia-Visegrad e della sintonia fra gli identitari di Identità e democrazia, Ecr e Ppe. Ed è concreto anche l’orizzonte di un Ppe che dovrà fare i conti con una sensibilità più spostata a destra, grazie all’influenza delle nazioni del Centro (Austria) e dell’Est (Bulgaria e Ungheria su tutte) che renderanno la vita più complicata per i popolari della Cdu di Angela Merkel.
Ma quest’ultima è stata capace, comunque, di rilanciare giocando il jolly “di casa”, la Von der Leyden che è stata ministro del suo governo, così come Emmanuel Macron – sconfitto in patria da Marine Le Pen e terzo nello scacchiere europeo – è riuscito ad incastrare Lagarde come pedina fondamentale e francese nella Bce.
Il dispositivo dei sovranisti, da parte sua e nonostante il mancato gruppo unitario, ha dimostrato di esistere a livello politico, di poter colpire e di saper individuare – come è avvenuto per l’Italia – dei contrappesi nella trattativa. Questo però – anche se ha svelato le carte di una gestione politicamente indebolita – si è dimostrato non ancora sufficiente per disarticolare nel profondo la consuetudine del “direttorio” franco-tedesco.
La partita a scacchi, dunque, è appena iniziata. Ma è già qualcosa di non indifferente che i popoli non siano più meri spettatori di questo match.