Se per caso appena dopo la mezzanotte scorsa qualcuno ha avuto la ventura di accendere la TV su un canale d’informazione, avrà provato qualche momento di puro stupore assistendo alle immagini di Di Maio contornato da un pletora di suoi, mentre compariva al balcone di palazzo Chigi festeggiando, agitandosi e inneggiando come avviene più o meno quando finisce una guerra o, in Italia, quando si vince lo scudetto. Dalla piazza si è unito ai festeggiamenti un nutrito gruppo di parlamentari grillini, muniti di bandiere e trombette, nemmeno stavolta però per la propria squadra del cuore, ma tutti a celebrare le scelte del governo. “Non abbiamo paura dei mercati, non temiamo lo spread”, era la parola d’ordine o il refrain, come preferite. “Alla fine il Governo del cambiamento ha vinto andando verso le necessità della gente. E non dite che si è trattato di diktat”, ha consigliato il capogruppo al Senato del M5s Patuelli rivolto ai giornalisti presenti, “perché era già tutto scritto nel contratto di governo.” Meno male, per un momento avevamo temuto fosse stato scritto direttamente nelle Tavole della Legge!
Ed ecco a quel punto apparire DiMaio: “Abbiamo portato a casa una manovra che cancella la povertà nel nostro Paese grazie al reddito di cittadinanza”, ha esordito il vicepremier, come al solito mostrando un ottimismo che definire un po’ sopra alle righe è riduttivo, mentre sembrava benedire la folla dei suoi. Ha poi proseguito: “Rilanciamo il mercato del lavoro attraverso la riforma dei centri per l’impiego restituendo così il futuro a oltre sei milioni di persone”, ha concluso con quella pacata modestia che di solito sottolinea i discorsi grillini. Comunque, come volevasi dimostrare, con un governo a trazione grillina in economia, tutto è bello, tutto è come già fatto e riuscito. Ma già solo trovare il giusto compromesso, non è stato semplice.
In realtà, contratto o non contratto, non c’era proprio una guerra da vincere, ma un accordo da trovare tutto all’interno della maggioranza di governo giallo-verde che alla fine, alla faccia di Tria che ha ceduto ma non si è dimesso, è faticosamente giunta ad un accordo: deficit-Pil al 2,4% per 3 anni (2019/2020/2021).
Dalle ultimi informazioni pervenute, sembra che alla fine la nota di aggiornamento del Def sia stata approvata dall’unanimità dopo una giornata al cardiopalma. In un post il premier Giuseppe Conte descrive come mediatica, ragionevole e coraggiosa la manovra economica, dimostrando di essere più che soddisfatto per l’accordo raggiunto quando già si rischiava una crisi che avrebbe potuto essere fatale al governo. Comunque, per la manovra occorreranno almeno 27 miliardi che verranno reperiti con una lunga serie di provvedimenti finanziati ricorrendo esclusivamente all’indebitamento. Si tratta di 15 miliardi in più per il prossimo triennio e il Premier ha specificato che una parte consistente della manovra si rivolge ai grandi investimenti pubblici. “Abbiamo previsto di aggiungere ai 38 miliardi già stanziati per i prossimi 15 anni, anche 15 miliardi per il prossimo triennio. Abbiamo previsto una cabina di regia a Palazzo Chigi per monitorare e verificare l’attuazione del piano di investimenti. Inoltre il ministro dell’Economia riferirà trimestralmente al Consiglio dei ministri sull’andamento dei conti pubblici e del Pil”, ha concluso.
Due parole le ha volute dire anche Toninelli, ministro delle Infrastrutture, sul suo collega ministro dell’economia Tria, che fino alla fine si è battuto per contenere il deficit all’1,6% “Nessuno ha mai discusso Tria, ne lui si è messo in discussione”, ha esordito Toninelli, facendo sorridere chiunque abbia seguito quanto accaduto negli ultimi giorni. “La scelta di Tria è la naturale conseguenza di un posizionamento politico”. In realtà, pare che dietro la decisione del ministro dell’economia di restare nella compagine del governo abbia non poco influito una telefonata giunta da Capo dello Stato, Mattarella, arrivata ancora prima del Consiglio dei ministri e della decisione di sforare la soglia del 2%. In ogni caso, Tria avrebbe garantito 8 o forse 10 miliardi per il reddito di cittadinanza, ma solo 2,5mld per superare la legge Fornero. Una cifra non sufficiente per DiMaio che avrebbe invece chiesto 8 miliardi anche lì. Ai conti, tra l’altro, mancherebbero anche i due miliardi necessari per la riforma dei centri dell’impiego, e quindi ancora qualcosa è da risolvere, malgrado l’esultanza generale.
Anche Salvini è apparso soddisfatto per le conclusioni raggiunte nel summit. “Tasse abbassate al 15% per più di un milione di lavoratori italiani, diritto alla pensione per almeno 400.000 persone e altrettanti posti di lavoro a disposizione dei nostri giovani superando la legge Fornero – ha detto il ministro degli interni -, chiusura delle cartelle di Equitalia, investimenti per i Comuni, per le scuole e le strade. Nessun aumento dell’Iva”. Del resto, il leader leghista era apparso ottimista anche durante la sua visita a Tunisi, quando incontrando la stampa, al riguardo, aveva detto: “Io i numerini me li gioco a lotto e a tombola, qui mi occupo di Fornero, Flat tax, accise. Il numerino è l’ultimo dei miei problemi e arriva alla fine del percorso”, un discorso non proprio da economista, ma probabilmente considerando il vento in poppa di cui gode, Salvini in questo momento non teme nemmeno la superstizione.
Resta invece fuori dalle decisioni prese dal governo, quella che forse era la più intelligente e priva di costi: la flax tax sui redditi incrementali chiesta a gran voce da Fratelli d’Italia e da Giorgia Meloni. Il provvedimento avrebbe contribuito ad un aumento di gettito, in parte determinato anche da parecchio sommerso che sarebbe venuto alla luce, e avrebbe avuto impatto zero sui conti dello Stato mentre avrebbe contribuito non poco al rilancio dell’economia. Non si capisce perciò questo ostracismo da parte del governo su una risoluzione valida, quando si sta rischiando non poco tornando a fare quello che si è fatto per decenni nella prima repubblica: vivere sopra le proprie possibilità indebitandosi piuttosto che promuovendo un’economia sana.