Alcune verità sono difficili da digerire e, pur non di farlo, si tende a dare una narrazione diversa della realtà. Da mesi, infatti, si sentono le opposizioni parlamentari parlare di fallimento Rai e della strategia del centrodestra per il nuovo cambio di vertici. Dopo la questione Fazio, secondo alcuni spinto a lasciare viale Mazzini, secondo altri (e probabilmente secondo il vero) attratto altrove dalle clausole di un nuovo contratto, il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle non hanno smesso di invocare un prossimo fallimento di mamma Rai. Le cose però stanno diversamente e i sondaggi di Agcom e Auditel parlano chiaro: se nell’arco dell’anno la tv commerciale ha avuto la meglio sulla Rai, è nell’ultimo periodo, in un arco temporale di circa tre mesi, che si può costatare il cambio di passo della tv di Stato con una netta vittoria giorno dopo giorno sulla concorrenza in termini di share e di ascolti.
E se è vero che nulla accade per caso, il sorpasso va letto con la giusta lente: faticano, infatti, le opposizioni ad ammettere che i buoni numeri della Rai provengono dall’ottimo lavoro della nuova amministrazione targata centrodestra, insediatasi poco prima del nuovo periodo di crescita. A segnare il percorso della più grande azienda culturale della Nazione sono state le nomine, volute dal governo, di due importanti personalità della comunicazione: Roberto Sergio e Giampaolo Rossi. Il primo, designato a maggio dal Consiglio dei Ministri, è stato scelto come amministratore delegato, dopo essersi distinto per aver provato, con successo, a rendere fruibili le frequenze radio della Rai a un pubblico più giovanile. La nomina del secondo è seguita di qualche giorno: anche lui volto già noto di viale Mazzini avendo fatto parte, in quota Fratelli d’Italia, del consiglio d’amministrazione dell’azienda nel 2018, da maggio Giampaolo Rossi ricopre la carica di direttore generale con deleghe operative. L’obiettivo dichiarato non è solo aumentare lo share: bisogna “garantire – come dichiarava lo stesso Rossi – la pluralità delle narrazioni, il racconto della nostra Nazione nelle sue diverse forme di espressione, garantendo il principio fondamentale della libertà”. Bisogna, insomma, ridotare la Rai di quella vocazione pluralista su cui ogni servizio di informazione dovrebbe dotarsi ma che probabilmente negli ultimi anni è mancata, sotto le spinte di un dominante pensiero culturale di sinistra. E da quanto si evince nei dati, la nuova tv pluralista funziona, con ottimi risultati sullo share. E se non è giusto giudicare il lavoro della nuova amministrazione solo dagli ascolti, bisognerà andare oltre, valutando anche un altro indispensabile fattore: l’indebitamento. Se a giugno, infatti, si contavano circa 580 milioni di euro di debiti, buone notizie per il nuovo anno arrivano a fine dicembre 2023, quando si è raggiunto il pareggio di bilancio e un calo dell’indebitamento di circa 90 milioni di euro. Si evince da sé, allora, l’ottimo lavoro della nuova Rai pluralista, che fa ottimi ascolti e abbatte il debito. Indiscussa riprova che la scelta di dare voce a tutti è giusta e funziona. Spiegatelo ai democratici della sinistra.