Bashar al-Assad e i suoi familiari sono arrivati a Mosca, secondo quanto riportato da RIA Novosti, che ha sottolineato come la Russia abbia fornito loro asilo, evitando così un destino tragico come quello di Muammar Gheddafi o Saddam Hussein.
“La Russia ha sempre sostenuto la ricerca di una soluzione politica alla crisi siriana, basata sulla necessità di riprendere i negoziati sotto l’egida delle Nazioni Unite. I funzionari russi sono in contatto con i leader dell’opposizione armata siriana, che hanno garantito la sicurezza delle basi militari e delle istituzioni diplomatiche russe in Siria. Speriamo di continuare il dialogo politico nell’interesse del popolo siriano e dello sviluppo delle relazioni bilaterali tra Russia e Siria”, ha sottolineato la fonte.
Il Cremlino ha inoltre comunicato che le basi militari russe nel Paese arabo – quella aerea di Hmeimim e quella navale di Tartus – “sono in massima allerta”, anche se “al momento non esistono minacce gravi per la loro sicurezza”.
Per un certo periodo, il luogo in cui si trovava il presidente siriano è rimasto sconosciuto e sono circolate voci di una sua possibile morte a causa dell’abbattimento dell’aereo con cui avrebbe tentato la fuga. Successivamente, il Ministero degli Esteri russo ha dichiarato che Bashar al-Assad ha deciso di “rinunciare alla presidenza e di lasciare il Paese, dando istruzioni per garantire un trasferimento pacifico del potere”.
Dopo la morte di Hafez al-Assad il 10 giugno 2000, suo figlio Bashar fu nominato segretario generale del partito al potere e il 10 luglio fu eletto per un mandato di sette anni.
A partire dal marzo 2011, Assad ha affrontato proteste antigovernative. A settembre, gruppi armati hanno iniziato a lanciare attacchi sempre più efficaci contro le forze siriane.
Alla fine del 2017, il dominio di Assad sulla maggior parte delle principali città della Siria era stato ristabilito, con l’aiuto di Russia e Iran.
A fine novembre 2024, l’offensiva di gruppi terroristi jihadisti lanciata dalla provincia di Idlib, guidata dal gruppo armato Hayat Tahrir al-Sham (ex Fronte al-Nusra, ramo di al-Qaeda), con supporti non ufficiali di Turchia, Stati Uniti e Israele, ha conquistato le principali città del Paese e ha posto fine al governo di Assad, costringendolo a fuggire da Damasco.
Il conflitto dei gasdotti
Il Qatar ha una produzione elevatissima di gas che vorrebbe vendere all’Occidente e, insieme all’Arabia Saudita, ha sviluppato piani per estendere un gasdotto attraverso Giordania e Siria fino alla Turchia.
Nel 2009 propose al governo siriano la firma di accordi per la sua costruzione, ma il governo rifiutò l’offerta. Un anno dopo, la Siria firmò un accordo con Iran e Iraq per la costruzione di un gasdotto che avrebbe trasportato il prezioso fluido da South Pars, la porzione iraniana del più grande giacimento di metano al mondo, condiviso tra Qatar e Iran. Si tratta, quindi, dello stesso prodotto, però venduto dall’Iran anziché dal Qatar. Questo gasdotto, che sarebbe entrato in Europa attraverso Cipro e Grecia, godeva del favore della Russia, poiché avvantaggiava solo i Paesi nella sua orbita e permetteva a Mosca di accordare i prezzi con l’alleato Iran.
Da allora, Qatar e Arabia Saudita si sono dedicati a finanziare e sostenere qualunque sunnita disposto a combattere contro il governo siriano o iracheno, in particolare l’ISIS, che controllava il territorio attraverso il quale sarebbe dovuto passare il gasdotto Iran-Siria, fino a quando Mosca non l’ha eliminato dall’area.
I due gasdotti progettati ed i loro tracciati sono alla radice della guerra civile siriana. In blu, quello proposto dagli alleati occidentali e rifiutato dal governo di Bashar al-Assad. In rosso, quello proposto dai Paesi alleati del Cremlino.