L’emergenza sanitaria legata a Covid-19 ha assorbito quasi completamente le energie e le attenzioni di chi si occupa di salute pubblica. Ma nonostante questa profusione di sforzi l’Italia è tra i paesi con la più alta percentuali di vittime.
Ma se finalmente adesso stiamo iniziando a vedere la fine di questo incubo sanitario sarà bene tenere a mente che il prezzo che abbiamo pagato e che continueremo a pagare fino al giorno dell’immunità di gregge non è niente in confronto a quello che ci aspetta. Ben presto infatti dovremo fare i conti con la peggiore delle ondate: quella dei malati di altre patologie completamente dimenticati e di cui nessun bollettino a reti unificate ci farà tenere il conto. Ma i numeri abbiamo tentato di metterli insieme noi, somme incrociando i dati delle principali Agenzie Sanitarie, dell’Istat e delle Confederazioni di medici oncologici e cardiologici, e fanno rabbrividire.
E’ arrivato quindi il momento di mettere sotto i riflettori quelle che sono state e che saranno le vittime di una sanità presa in ostaggio (da un anno e mezzo) dal Coronavirus, ma soprattutto da una organizzazione sanitaria che per far fronte all’emergenza ha completamente dimenticato l’ordinario.
Il mistero dei 30mila morti in più, in Italia, non attribuibili al Covid: Secondo l’Istat, lo scorso anno c’è stato un aumento di 85.624 decessi. Ma “solo“ 55.576 per Coronavirus, come fa notare il Corriere[1]. Questo significa che durante il drammatico 2020 ci sono stati almeno trentamila decessi in più rispetto alla normalità del passato. La domanda che ci poniamo quindi è questa: non sono stati fatti tamponi a sufficienza o si tratta di pazienti no Covid non curati a sufficienza? I numeri, da soli, sono muti, ma proviamo adesso a riportare altri numeri: quelli delle principali Agenzie Sanitarie e delle Confederazioni di medici oncologici e cardiologici.
Ecco che allora scopriamo che i sistemi sanitari, travolti dalla pandemia, hanno smesso di curare tumori o patologie cardiache con l’attenzione di prima. Gli ultimi dati riportati da Agenas (l’Agenzia sanitaria nazionale delle Regioni) aiutano a comprendere quello che vogliamo dimostrare, ovvero l’enorme spessore dei danni collaterali della pandemia. Nei primi sei mesi del 2020 i ricoveri ospedalieri sono stati 3,1 milioni contro i 4,3 dello stesso periodo dell’anno precedente. Il che significa che, nel 2020, durante la prima ondata della pandemia, negli ospedali ci sono stati 1,1 milioni di ricoveri in meno.
Sempre Agenas ci informa che, in 9 mesi, da gennaio a settembre 2020, si sono perse ben 52 milioni di visite specialistiche e prestazioni diagnostiche: cioè il 30% in meno[2]. Che tradotto significa che milioni di italiani non sono stati dal cardiologo, dal ginecologo, dal neurologo e non hanno fatto risonanze, ecografie e tac.
Se consultiamo le tabelle ISTAT sulla mortalità in Italia vediamo che tra le prime cause principali di decesso in Italia ci sono le malattie del sistema circolatorio. Tra ischemie, infarti, malattie del cuore e cerebrovascolari muoiono più di 230mila persone all’anno. In seconda posizione troviamo i tumori, che causano la morte di 180mila persone.
Ci saremo pertanto immaginati, anche in periodo di pandemia, una corsia preferenziale per cardiopatici e malati oncologici ma non è esattamente quello che è successo, anzi!
La pandemia ha fatto ridurre le prestazioni anche per queste patologie killer, si parla del 50 % dei ricoveri in meno. E in alcuni ambiti le conseguenze sono state immediate: secondo uno studio condotto dalla Società Italiana di Cardiologia (SIC)[3], condotto in 54 ospedali italiani in Italia la mortalità per infarto, nel 2020 è triplicata. Ma non è tutto. Nel 2020 in Italia hanno subito un rinvio il 99% degli interventi per tumore alla mammella, il 99,5% di quelli alla prostata, il 74,4% dell’operazioni al colon retto[4]. E’ il grido di allarme della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia.
Ma la lotta contro il cancro era stata già trascurata anche prima del Covid: il piano nazionale oncologico in Italia è fermo al 2011, lo stesso piano poi è stato prorogato fino al 2016. Stiamo parlando di un piano di un centinaio di pagine di analisi, percorsi e azioni programmatiche con le linee guida su come organizzare prevenzione e cure. Un piano quindi che ai giorni di oggi non può che essere inadeguato (un pò come è successo per il piano pandemico non aggiornato). Nel frattempo l’Italia è cambiata, ci sono zone in cui sono aumentati i tumori ai polmoni a causa dell’inquinamento; i sistemi medici, le terapie, le analisi si sono evoluti, eppure si sono alternati Ministri della Salute e governi ma nessuno ha ritenuto importante rivedere la strategia contro il tumore, che è la seconda causa di morte in Italia.
E “adeguare il piano anche in relazione a quello europeo significa poter ricevere i fondi che sono nostri, che ci spettano e dare a tutti malati le stesse opportunità” come ha recentemente affermato anche il professor Paolo Veronesi. I danni di una sanità bloccata si misurano non solo in termini di salute, ma anche dal punto di vista sociale, di accresciuto gap tra chi può curarsi e chi non può.
L’unica cosa che avrebbe potuto decongestionare gli ospedali sarebbe stato un protocollo per il trattamento a domicilio dei pazienti Covid, eppure il Ministro Speranza ha sempre tentennato, anzi, a dire il vero l’ha ostacoltao in tutti i modi. Il Senato della Repubblica, l’8 aprile scorso, aveva espresso con votazione praticamente unanime la necessità di impegnare il Governo per istituire un tavolo di lavoro per la revisione delle linee guida nazionali per la cura domiciliare precoce, tenendo conto delle esperienze dei medici del territorio. Le fondamenta di questa tipologia di cura, in special modo durante una pandemia, sono sostanzialmente due: la libertà dei medici di fare riferimento alla propria esperienza e formazione per curare i pazienti in “scienza e coscienza”, con libertà prescrittiva dei farmaci ritenuti più efficaci e la necessità di agire tempestivamente, ovvero entro le prime 72 ore, differentemente dalla “vigile attesa con Paracetamolo” sostenuta dalla ormai decaduta linea guida nazionale (vedasi decisione del Tar del Lazio del 7 marzo scorso).
Attualmente le linee guida dell’Aifa prevedono per i pazienti Covid ai primi sintomi, paracetamolo e vigile attesa, questo nonostante Giorgio Palù, Presidente dell’Agenzia del Farmaco abbia detto che la tachipirina è inutile e persino dannosa.
Contro queste linee guida ha fatto ricorso al Tar il Comitato cura domiciliare che da oltre un anno raccoglie sul territorio esperienze, dati e contributi di medici anche molto autorevoli, tanto che il tribunale amministrativo ha dato ragione al Comitato e ha bloccato le linee guida di Aifa.
Ma il ministero della Salute incredibilmente ha impugnatola decisione di fronte al Consiglio di Stato, e quest’ultimo ha preso una decisione bizzarra: ha stabilito che le decisioni di Aifa, benchè sbagliate, debbano restare in vigore: meglio indicazioni scorrette che nessuna indicazione.
Speranza ha scavalcato Sileri, ma ha ignorato pure una mozione del Senato votata all’unanimità, la quale impegnava il governo a formulare un protocollo proprio tenendo conto delle esperienze territoriali. Fior fiore di esperti sostengono che la tachipirina non serva o peggio sia dannosa nel trattamento precoce del virus. Ma allora perché le linee guida di Aifa che la prevedono sono ancora in vigore? Sappiamo che le cure domiciliari possono salvare vite e ridurre la pressione sugli ospedali, però a Roma tentennano.
Davvero surreale.
[1] https://www.corriere.it/cronache/21_gennaio_20/mistero-30mila-morti-piu-che-non-sono-attribuiti-covid-82b9e0ca-5a99-11eb-89c7-29891efac2a7.shtml?refresh_ce-cp
[2] https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato5803023.pdf – pg.112
[3] http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=85062
[4] https://www.favo.it/sedicesima-giornata-malato-oncologico/rassegna-stampa/2030-tumori-nel-2020-posticipato-il-99-degli-interventi-al-seno-e-alla-prostata-subito-una-cabina-di-regia-per-definire-il-piano-oncologico-nazionale.html