di Raffaele Di Bello
Le motivazioni dell’approvazione da parte del governo dell’emendamento a firma Pd che reintroduce i giudizi al posto dei voti nella scuola primaria possono essere spiegate facendo riferimento al romanzo di Cormac McCarthy. La citazione non è un puro gioco intellettualistico, ma è il tentativo di spiegare quello che di paradossale la nostra Italia è costretta a vivere per colpa del governo giallo-rosso.
Giuseppe Conte come Llewelyn Moss, protagonista del romanzo, si trova casualmente sulla scena di un recente regolamento di conti tra bande politiche rivali, anziché tra trafficanti di droga come invece racconta Cormac McCarthy. Tra questi gruppi politici rivali Conte trova un PD agonizzante che gli chiede aiuto per risollevarsi. Conte, credendo nel colpo di fortuna che gli cambia la vita accetta e spera di ottenere il lauto bottino di consenso elettorale. Solo che deve fare i conti il nemico del PD, ovvero l’altra banda politica che sono i 5 stelle. Anch’essi sono affamati di voti perché non vogliono perdere il loro prestigio elettorale e i loro privilegi da parlamentari. Tra Pd e Cinque stelle inizia un duro braccio di ferro, dove si sparano colpi incrociati che il povero Conte deve quotidianamente evitare se non vuole cadere sotto il fuoco amico-nemico. Purtroppo il governo Conte nessuno lo vuole ma tutta la sua maggioranza si tiene ben stretta alla sua giacca perché sa che se solo allentasse la presa per lei sarebbe la déblâc elettorale.
A complicare la situazione di Conte ci si mette anche la ministra della pubblica istruzione Azzolina. Ricordiamo che nelle precedenti legislature il ministero della pubblica istruzione era stato accorpato al ministero dell’università e della ricerca; motivi di tale decisione si erano fondati sul risparmio delle risorse pubbliche, ovvero anziché pagare due ministeri che si occupavano di scuola, università e ricerca, considerato la stretta correlazione tra le diverse funzioni ministeriali, era meglio accorparle in un unico ministero e risparmiare i soldi degli italiani. Ma i cinque stelle predicano bene e razzolano male. Cosa hanno fatto? Hanno rimesso in piedi i due ministeri a spese degli italiani, hanno moltiplicato le poltrone e se le sono spartite, secondo le vecchie logiche della spartizione del potere. Dunque la ministra Azzolina, in quota 5 stelle, ha dovuto mettersi in mostra e aumentare la propria visibilità e popolarità per incrementare il consenso elettorale.
I provvedimenti dell’Azzolina in tempo di Covid-19 hanno dimostrato che non ha a cuore la salute degli italiani. Appena dopo l’immediata disposizione di chiusura delle scuole è iniziata la tarantella delle dichiarazioni, fatta a mo’ di spot elettorale, della ministra per acquisire visibilità sui maggiori organi di informazione.
Stante ai risultati la didattica a distanza non ha dato i risultati sperati, perché la dispersione scolastica è aumentata anziché diminuire, e tutti i problemi della didattica sono stati scaricati sulle famiglie senza nessun aiuto concreto da parte del governo, e i provvedimenti messi in campo dalla ministra per la ripresa del prossimo anno scolastico di certo non agevoleranno né alunni, né famiglie e né tanto meno docenti.
Arriviamo all’altro punto dolente dei provvedimenti presi dalla ministra: quello dei concorsi per i docenti. In piena emergenza sanitaria per la pandemia la ministra ha la brillante idea di indire due concorsi: quello straordinario per gli insegnanti con tre e più anni di servizio ad Agosto e l’altro, quello ordinario, per tutti gli altri docenti a Ottobre. Credo che nemmeno Maga Magò che in fatto di magia le si deve riconoscere le competenze, in fatto di veggenza non avrebbe rischiato con il Covid-19 così tanto. Ma la ministra si vede che ha altre doti, pertanto, a Marzo, in piena emergenza sanitaria, ha emanato il decreto per i concorsi.
Ma lei ha indetto questi concorsi per risolvere il problema del precariato nella scuola e per dare credito alla battaglia pentastellata sulla meritocrazia.
Ora nulla in contrario alla meritocrazia come criterio per arruolare gli insegnati. Ma la domanda è lecita: se il criterio meritocratico vale per gli inseganti, perché non vale anche per i politici? Allora Conte, e soprattutto lei ministra, con quale criterio meritocratico esercitano le funzioni di capo del governo e di ministra?
Il criterio è sempre lo stesso, ovvero quello dei giochini di palazzo, che con la meritocrazia ha poco a che fare.
Allora cosa ha fatto lo sceriffo Conte per dare visibilità ai singoli schieramenti della maggioranza di governo che lo sostiene? Ha permesso alla ministra di indire i due concorsi per i docenti per cercare di accaparrarsi il voto degli insegnanti, i quali per fortuna hanno dimostrato disappunto e nello stesso tempo ha dato spazio al PD per portare avanti la sua politica della scuola. In questo modo Conte non ha scontentato nessuno, tranne che gli alunni, le famiglie e i docenti.
L’ultimo provvedimento firmato Pd rintroduce il giudizio nella scuola primaria. I firmatari dell’emendamento, Verducci-Iori-Rampi, hanno dichiarato che lo hanno fatto perché gli alunni non sono numeri. A parte che nessun alunno è mai stato un numero nella scuola pubblica, come in quella privata. Sarebbe interessante domandare ai tre parlamentari piddini che razza di scuole hanno frequentato se hanno l’idea degli alunni come numeri? Ogni scuola di ogni ordine e grado all’inizio dell’anno scolastico convoca il collegio dei docenti per discutere dei criteri di valutazione. E dietro a ogni numero c’è sempre una motivazione chiara. Quindi in sede di valutazione agli alunni non viene comunicato il numero e basta senza alcun tipo di spiegazione e le famiglie non sono all’oscuro dei criteri di valutazione adottati dalla scuola. Anzi, proprio in virtù del patto educativo che ogni anno le scuole decidono i criteri di valutazioni e le motivazioni che li giustificano. Ad esempio un 4 viene motivato con la totale mancanza di impegno, di partecipazione. Quindi i voti non fanno altro che esprimere in forma sintetica i risultati dall’alunno durante l’anno scolastico o durante le prove intermedie.
La valutazione degli alunni viene espressa in termini sintetici e analitici. Dunque togliere uno di questi due elementi creerebbe confusione negli alunni e nelle famiglie.
Però ciò non importa, perché quello che più preme ai parlamentari del governo giallo-rosso è la loro sopravvivenza politica. E dunque visto e considerato che questo governo nessuno lo vuole, i parlamentari Pd si stanno preparando alle elezioni future. E dunque il PD con questo emendamento che non fa il bene della scuola, ma che è ideologicamente orientato a sinistra, sta cercando di accontentare il proprio elettorato, che purtroppo risente ancora dei richiami di una vecchia sinistra sconfitta dalla storia.
Ripetiamo che la scuola ha bisogno di ben altro che di questi provvedimenti: come quello degli interventi infrastrutturali per l’ammodernamento degli edifici scolastici, come quello dei contributi alle scuole paritarie, come gli aumenti salariali dei docenti, come un piano di assunzioni dei docenti precari. Ma il Pd a corto di idee cosa fa? Rispolvera la vetusta questione dei giudizi, questione che la scuola ha da tempo superato e risolto.
A sentire a sinistra dal PD a Leu hanno tutti a cuore il problema della scuola, ma se volessero veramente far progredire i nostri ragazzi e con essi lo spirito della nostra nazione allora le politiche che dovrebbero adottare sarebbero altre e molto distanti da quello che stanno facendo, ma si sa alla sinistra piace parlare, parlare parlare e forse è proprio questa la ragione che li ha spinti ad abbandonare i voti per i soli giudizi. Parole, parole, parole.