Per prevenzione si intende un’azione diretta a impedire il verificarsi o il diffondersi di fatti non desiderati o dannosi.
La prevenzione è, drammaticamente, ciò che è mancato nell’attentato di Bruxelles, che, come si vedrà dalla ricostruzione dei fatti legati a Lassoued, avrebbe potuto essere evitato.
Chi era Abdesalem Lassoued, il terrorista di Bruxelles
Si dice che per fare una prova occorrano tre indizi. Nella storia di Lassoued, tunisino classe 1978, gli indizi sono molti di più. Ma la prova che fosse un pericolo è arrivata, drammaticamente, solamente dopo la morte di due vittime innocenti.
Come riportato dal quotidiano Il Giornale, i fatti legati al terrorista Lassoued presentano un profilo piuttosto chiaro della personalità del terrorista, che in Italia già era stato individuato e attenzionato.
Ma procediamo con ordine.
In Africa commette ‘reati comuni e di natura politico-religiosa’. Primo indizio.
Parte poi alla volta dell’Europa e si imbarca per Lampedusa mescolandosi ad altri migranti.
A quel punto, nel 2011, viene segnalato a Porto Empedocle per ingresso illegale. Secondo indizio.
Ma più tardi, dopo essere stato spostato a Torino, gli rilasciano un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
A quel punto lascia l’Italia, girando tra Norvegia e Svezia per un paio di anni (2012-2014), finendo in carcere proprio nel paese natìo delle due vittime di Bruxelles, il che non sembra proprio un caso a questo punto.
Dopo aver scontato la pena in Svezia, come previsto dal Regolamento di Dublino, viene espulso verso l’Italia, riuscendo a sistemarsi a Bologna insieme alla compagna, anche lei tunisina.
Nel 2016 presenta domanda di protezione internazionale.
La sua attività social appare molto interessante. Sui suoi profili, infatti, spiccano pagine come quella dell’Associazione Inquilini e Abitanti di Bologna, un’unione sindacale pro-migranti legata alla sinistra. Sempre nello stesso anno, Lassoued viene segnalato dalle autorità tunisine come un “elemento pericoloso e radicalizzato”. Terzo indizio.
Si arriva a giugno 2016, quando a Bologna viene rigettata la sua domanda di protezione internazionale. Quarto indizio.
Viene così mandato al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Caltanissetta per il rimpatrio.
Presenta ricorso e il Tribunale di Bologna rivede il no relativo alla protezione internazionale e fissa per il 2017 l’udienza.
Esce dal Cie, con tanto di permesso di soggiorno, e torna in tutta tranquillità in Belgio.
Ma la polizia italiana aveva già lanciato un allarme su di lui a tutta Europa, informando che il tunisino “avrebbe intrapreso un processo di radicalizzazione con la volontà di raggiungere il Daesh per proseguire la jihad, e avrebbe anche avuto l’intenzione di acquisire un’arma da fuoco per compiere atti inconsulti ai danni di cristiani ed ebrei”. Ma c’era di più: il sospettato tunisino sosteneva di essere in contatto con il terrorista coinvolto negli attentati in Francia.
Quinto gravissimo indizio.
Siamo nel 2019. Lassoued continua a presentare domanda di asilo, a Bruxelles. Respinta anche stavolta. Sesto indizio.
Passano un paio di anni, in cui continua tuttavia a mantenere la sua posizione integralista (tanto da essere addirittura cacciato da una moschea in virtù di ciò) e diventa un vero e proprio fantasma, nonostante nel 2021 le autorità belghe gli avessero notificato un ordine di espulsione. Settimo indizio.
Lassoued vi rimane tuttavia da clandestino, trovando rifugio nel quartiere di Schaerbeek, noto per la sua comunità musulmana e in cui, guarda caso, era cresciuto anche uno degli attentatori che si era fatto esplodere nel marzo 2016 all’aeroporto di Bruxelles.
La necessità di un’azione comune e coordinata europea per sconfiggere il terrorismo
Sono dunque molti i punti che suggerivano il tragico finale a cui si è arrivati pochi giorni fa. Sarebbe stato sufficiente soffermarsi anche su uno solo di essi per evitare la tragedia dello scorso 16 ottobre.
Il fatto che le autorità italiane avessero più volte informato della pericolosità del soggetto tunisino e che lui stesso fosse stato sottoposto all’espulsione da diverse parti d’Europa, fa capire bene come, in realtà, la situazione fosse piuttosto chiara. E di come Lassoued, se ci fosse stata un’azione congiunta e coordinata, avrebbe potuto essere rintracciato e portato fuori dai confini europei.
Ma ciò non è accaduto, e l’epilogo di questa vicenda è purtroppo oramai stato scritto e macchiato di sangue.
La storia personale di Lassoued e le sue gesta illogiche e ingiustificabili fanno riflettere, oggi più che mai, sull’importanza che il contrasto all’immigrazione illegale deve avere nelle agende politiche nazionali e in quella europea generale.
Perché se a Bruxelles l’attentatore è riuscito a portare a compimento la sua azione di terrore è esattamente perché c’è stata una falla nell’azione di controllo dei migranti illegali. Il che, di conseguenza, fa comprendere come esista un grosso problema nell’intero sistema di immigrazione in Europa.
Come si è visto, purtroppo, non sono stati sufficienti le informazioni, gli avvertimenti e le decisioni delle autorità italiane, che avevano messo da tempo in guardia sulla posizione radicale e pericolosa del tunisino, se poi tali informazioni non portano ad un’azione mirata e concreta anche da parte di altre autorità.
Tutto ciò conferma come ci debba essere una maggiore comunicazione, una maggiore collaborazione e un maggior controllo ad ogni livello dell’Ue, da quello nazionale a quello sovranazionale, così che tragedie come queste non esistano più. Lo strumento più idoneo ed efficace in questo senso è rappresentato da un’azione di contrasto forte e univoca nei confronti dei migranti clandestini, che rappresenta il primo e consistente passo verso un’Europa più sicura e giusta. È necessario dunque prevenire, piuttosto che riparare, in modo che non ci sia più possibilità che l’odio e il terrore vengano disseminati e l’intero assetto comunitario venga sconvolto e minato alle sue stesse basi.