La strada tracciata dal Governo Meloni è quella giusta, anche circa il Reddito di Cittadinanza

La prima manovra economica del Governo presieduto da Giorgia Meloni prevedeva una sensibile revisione del Reddito di cittadinanza, e sta accadendo quanto preventivato e disposto dalla legge finanziaria. Coloro i quali sono considerati, per varie ragioni, (età, salute o altro), inabili al lavoro, continueranno ad usufruire del sussidio, che nel 2024 si trasformerà in Assegno di inclusione, ma i soggetti incapaci di dimostrare una seria e grave inabilità devono rinunciarvi una volta trascorso il periodo di transizione stabilito dal Governo.

I mesi sono passati e siamo al dunque, ovvero, una parte di percettori del Reddito deve iniziare a fare a meno di tale misura di sostegno. Si sapeva da tempo e lo stupore può essere soltanto quello di chi intende cavalcare una pessima battaglia politica e aizzare gli esclusi dal RdC, a partire da questo mese perché abili al lavoro, contro il Governo, come il Partito Democratico, peraltro sempre contrario al Reddito di cittadinanza, e il Movimento 5 Stelle stanno facendo. Il Governo Meloni è nel giusto anche per quanto riguarda la rimodulazione del Reddito di cittadinanza e l’assai presunto caos venutosi a creare, insieme all’altrettanto presunta macelleria sociale, è presente solo nella propaganda del M5S e dei neo-populisti del Pd. Per dirla in maniera molto chiara, coloro i quali non sanno dove sbattere la testa per andare avanti percepiranno il Reddito fino al 31/12/2023, e dall’inizio del nuovo anno potranno presentare domanda per l’ottenimento del Rei, ossia il succitato Assegno di inclusione.

Ma si è voluto, molto saggiamente, razionalizzare le modalità con le quali lo Stato va incontro ai più deboli al fine di impedire gli abusi da parte di chi rifiuta consapevolmente le offerte di lavoro e di quegli immigrati che scambiano il RdC percepito come valuta straniera da inviare al loro Paese d’origine e spesso, pur continuando a mantenere la residenza in Italia, non sono nemmeno più presenti a livello fisico sul suolo italiano. Ciò è stato provato e da qui si capisce subito che l’impianto ideato per l’erogazione del Reddito faceva acqua da tutte le parti in termini di controlli, anche incrociati, e verifiche fra veri e falsi bisognosi, e anche per ciò che concerne la reimmissione dei disoccupati nel mercato del lavoro, (i navigator di Luigi Di Maio sono rimasti un disegno teorico). Secondo le opposizioni, soprattutto Pd e M5S, il Governo starebbe semplificando in modo cinico un dramma sociale perché non è così semplice, sempre in base al pensiero di Elly Schlein e Giuseppe Conte, riuscire a tracciare un confine netto fra veri e finti poveri, e si rischia di lasciare indietro qualcuno. Non c’è dubbio, una delle urgenze dell’Italia è proprio quella di sburocratizzare e rendere efficace l’azione dello Stato sociale in modo che esso vada ad aiutare chi ha davvero necessità e non ha nulla a cui appoggiarsi al di fuori del supporto pubblico, senza però spargere soldi con l’idrante e farsi prendere per i fondelli dai furbacchioni sempre in agguato. Tanti predecessori di Giorgia Meloni non hanno mai preso di petto gli atavici problemi italiani riguardanti la burocrazia pubblica e un welfare che costa e sovente non dà risposte adeguate, ma l’attuale Governo è impegnato anche su questo. Fino all’altro ieri le leve dei comandi erano nelle mani di quelli che oggi confidano irresponsabilmente, ma ne rimarranno delusi, in qualche rivolta popolare qua e là per l’Italia, ossia i soliti noti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. Ebbene, questi neo-paladini dei poveri, quando avevano responsabilità di governo, non si sono mai preoccupati del leviatano burocratico che, a causa della sua natura complessa e farraginosa, ogni tanto finisce con il distribuire la ricchezza in modo iniquo, e alle storture già presenti hanno aggiunto il Reddito di cittadinanza organizzato e strutturato come sappiamo.

Il Governo Meloni sta dimostrando un encomiabile attivismo su più dossier, ma avrebbe potuto e potrebbe fare molto di più, evitando magari un approccio graduale in tanti campi, invece inevitabile vista la situazione, se solo avesse ricevuto una Nazione meglio governata e meno trascurata. Il mondo del lavoro, ignorato dai barricadieri giallorossi e preso in mano invece dal Governo attuale, che ha iniziato a detassare le tredicesime dei lavoratori e le imprese che assumono, necessita di un vasto impegno da parte della politica. Per esempio, un vecchio problema italiano è quello del rientro nel mercato lavorativo di coloro i quali si ritrovano ad un certo punto della vita disoccupati per colpe non loro, (delocalizzazioni, fallimenti di imprese…). Queste persone faticano a reinventarsi e soprattutto se hanno già superato i cinquant’anni, e vengono tristemente considerate troppo giovani per andare in pensione e troppo vecchie per essere assunte presso un nuovo datore di lavoro.

Occorre ricercare quel dinamismo necessario, presente in numerose parti del mondo, che consenta anche a chi non ha più vent’anni di iniziare da capo. I sindacati e le sinistre, che si riempiono la bocca di lavoro e lavoratori, farebbero bene a concentrarsi più su questo che sul RdC. Al netto del dovere statale di andare incontro ai più deboli, le forme di supporto sociale come il Reddito di cittadinanza, vicino a diventare Assegno di inclusione o Rei, devono essere messe in pratica con raziocinio e rigore perché esse rappresentano un costo per lo Stato, che prima o poi deve recuperare i quattrini, direttamente o indirettamente, in particolare se essi sono stati distribuiti a pioggia e senza un serio controllo. L’Italia non può più permettersi l’allegra politica “tassa e spendi” cara a Pd e M5S, composta da strumenti mal gestiti come, appunto, il Reddito e anche il bonus edilizia, cancellato giustamente dal Governo Meloni, perché presto o tardi occorre rimettere in cassa il denaro speso e poi non ci si può nemmeno lamentare se le tasse non vengono diminuite secondo le aspettative.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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