Lamorgese il delirio della incompetenza ma anche e soprattutto della ideologia

A Montecitorio ieri non abbiamo assistito solo ad una modestissima performance di carattere oratorio e comunicativo da parte del ministro Lamorgese: abbiamo visto in azione l’intreccio tra incompetenza e ideologia, con una prevalenza della seconda.

Il Ministro dell’interno è il dicastero politico per eccellenza e quello che fornisce la linea all’esecutivo: non a caso, a parte rarissime eccezioni, fino al 1946 il presidente del Consiglio era anche e soprattutto contemporaneamente quello dell’interno, anzi degli Affari Interni, come da più precisa denominazione.

Per questo, è un totale non sense affidarlo a un “tecnico”. Sempre nell’Italia repubblicana, anche quando i ministeri si definivano come tecnici o del presidente, al Viminale sedeva un politico o in ogni caso non un prefetto: il primo caso fu il governo Dini, che dovette ricorrere in fretta e furia al prefetto Coronas in seguito alla scomparsa dell’ex presidente di Cassazione, Brancaccio.

Più meditata la scelta di Monti di nominare Anna Maria Cancellieri, un prefetto, al Viminale: con risultati decisamente scarsi, a essere generosi. Poco memori della lezione, Conte, il Pd e i 5 stelle, in quello che era un governo politico e non tecnico, ebbero la geniale idea di ricorrere a un prefetto, appunto Lamorgese. Se allora la decisione era scaturita dal fatto che nessun politico intendeva essere il sostituto di Salvini e che i due partiti sulla linea di immigrazione e sicurezza erano allora ancora lontani, avere riconfermato Lamorgese nel governo Draghi è indice che la linea politica-ideologica del ministro è gradita, all’establishment e alla sinistra.

Lamorgese non è più nei fatti un tecnico perché non è possibile esserlo nel ministero più politico di tutti. E il suo bilancio al Viminale, ormai pluriennale, è orientato secondo canoni ideologici ben precisi. Poco importa che queste scelte politiche e ideologiche siano mascherate da tecniche dietro a un oscuro burocratese: fosse la prima volta che ciò accade nella storia…

Le linee ideologiche sono almeno tre

A) Frontiere aperte. Deviata l’attenzione degli italiani sulla pandemia, il Viminale sta consentendo una ripresa degli sbarchi e un afflusso di clandestini che ormai tocca i numeri del governo Letta e di quello Renzi (Ministro dell’interno, Alfano, di cui non a caso Lamorgese fu capo di gabinetto dal 2013). Il ministro silente si difende, poco e in modo poco convincente, ma ogni tanto le escono dal cuore affermazioni che indicano chiaramente la sua ideologia: quella delle frontiere aperte, mascherata sotto il discorso disfattista del “non possiamo fare nulla contro l’immigrazione”

B) Pugno duro con gli italiani. Lamorgese non è un ministro libertario o liberale o garantista, attenzione. Quando si tratta di applicare in maniera rigorosa e anche di più le procedure dei dpcm sul lockdown o dei decreti sulle chiusure e ora sul Green pass, o quando si tratta di far perseguire i commercianti ribelli o gli italiani in manifestazione, il Viminale è sempre pronto, solerte ed estremamente efficiente, dal suo punto di vista.

c) Mano morbida con il crimine, soprattutto compiuto da immigrati. Mentre il Viminale e i due governi, Conte e Draghi, mostravano il volto feroce e inflessibile, gli italiani rinchiusi in casa o costretti ad uscire muniti di mascherina e di permessi verdi, vedevano e vedono gli immigrati clandestini muoversi liberamente, fare ciò che a loro non era e non è consentito fare. Le forze dell’ordine si guardano bene dal controllarli, anche perché di fronte a reazioni violente dei fermati, che richiedono la legittima repressione, gli agenti finiscono per essere indagati dai Pm, senza ricevere la solidarietà né dei superiori né tanto meno del Viminale. Lo stesso si dica per la questione del rave: il ministro dell’interno ha giustificato la sua inazione nel timore che un eventuale intervento avrebbe potuto creare reazioni. Siamo al Teatro dell’assurdo.

Il risultato è una filosofia di comando che fa sposare ultra permissivismo da estrema sinistra radical chic con questurinismo codino e borbonico: solo che il primo è applicato ai potenziali delinquenti, il secondo nei confronti degli italiani perbene. E questo è frutto del disegno ideologico della sinistra di oggi: culto delle chiusure e del pugno duro sanitocratico, elogio della bio sorveglianza, porosità delle frontiere in nome della società multietnica, creazione mirata di un senso generale di insicurezza.

Il fine resta sempre lo stesso dei progressisti di ogni tempo e soprattutto odierni: perseguire lo sradicamento dal proprio territorio, dal proprio luogo, dalla propria nazione. Dobbiamo diventare nomadi, cioè isolati e soli e raminghi, affinché il nuovo potere tecno-burocratico ci possa controllare e punire meglio.

Con la sua oratoria grigia, incerta e questurina, Lamorgese è tuttavia il ministro più orwelliano di tutto l’esecutivo.

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Marco Gervasoni
Marco Gervasoni
Marco Gervasoni (Milano, 1968) è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise, editorialista de “Il Giornale”, membro del Comitato scientifico della Fondazione Fare Futuro. Autore di numerose monografie, ha da ultimo curato l’Edizione italiana delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Edmund Burke (Giubilei Regnani) e lavora a un libro sul conservatorismo.

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