Se ne sarebbe parlato comunque, perché la Cgil, insieme a Cisl e Uil, è uno dei tre maggiori sindacati italiani, per quanto in crisi di rappresentanza da diversi anni oramai, ma la presenza e il discorso della premier Giorgia Meloni al congresso, conclusosi sabato scorso, della sigla sindacale più a sinistra di quella che un tempo veniva identificata come Triplice, hanno dato un ampio risalto mediatico all’assise.
In Italia, sindacato e politica si intrecciano spesso, anche in maniera inopportuna a dire il vero, infatti, prima della partecipazione della Meloni, sono saliti sul palco del congresso Cgil tutti i leader della odierna area di centrosinistra, dalla neo segretaria del Pd Elly Schlein a Giuseppe Conte per il M5S, fino a giungere al centrista Carlo Calenda e al numero uno di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni.
Forse, Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, riconfermato poi con una percentuale bulgara, ha sperato che il congresso della confederazione sindacale da lui guidata potesse essere una occasione per avvicinare fra loro tutti gli attori della opposizione di centrosinistra, i quali si muovono invece alquanto disordinatamente, ma Calenda ha gelato qualsiasi entusiasmo in tal senso, affermando di sentirsi assai lontano da tutti gli altri interlocutori presenti su quel palco.
Ben più significativo, per commentatori e mass media, è stato l’intervento di Giorgia Meloni. Per alcuni aspetti, l’arrivo della Meloni non avrebbe dovuto nemmeno creare troppo sconcerto. I congressi, siano essi di partiti, sindacati o importanti associazioni, ricevono o dovrebbero ricevere un saluto da parte delle Istituzioni, ciò era consueto tanti anni fa, e Giorgia Meloni, ancor prima della leadership di Fratelli d’Italia e del centrodestra, riveste l’incarico istituzionale di Presidente del Consiglio, sebbene qualcuno continui a mal digerire tale fatto.
Però, per ben 27 anni nessun Presidente del Consiglio si è fatto vedere ad un congresso della Cgil, nemmeno i premier più di sinistra, e l’ultimo è stato Romano Prodi, appunto, quasi trent’anni fa. Poi, si è trattato della partecipazione di una leader politica con una storia alle spalle e una identità tutte di destra all’assise congressuale di un sindacato da sempre posizionato a sinistra.
La Meloni ha dimostrato di avere coraggio e un nobile senso della unità nazionale, andando a parlare ad una parte di Italia che è molto lontana da lei perché il suo lavoro attuale riguarda tutti gli italiani. Nelle democrazie mature chi viene eletto presidente o premier, anche se facente parte, inevitabilmente, di una fazione politica, diventa poi il rappresentante di un intero Paese e di tutti i cittadini.
Chi addirittura scappa da casa sua, come hanno fatto i signori con il pugno chiuso al congresso Cgil, per evitare il confronto con l’ospite avversario, possiede una concezione della democrazia secondo cui l’ideologia prevale su ogni cosa, anche sul buonsenso. Bisogna dargliene atto, anche Maurizio Landini si è rivelato audace, invitando la premier Meloni e rischiando così di farsi odiare da almeno una fetta dei delegati.
Oltre al dibattito prettamente politico, questo congresso della Cgil non ha detto nulla di particolarmente inedito, a parte i proclami già noti contro il precariato e la povertà, e la minaccia di nuovi scioperi. Ma c’è stato un passaggio nei suoi interventi in cui il segretario generale Landini non ha usato mezzi termini per stigmatizzare l’elevata evasione fiscale presente in Italia. Landini ha affermato testualmente di essersi rotto le scatole di pagare anche per chi non paga. Beh, a chi piace l’evasione? Quando si tocca questo argomento bisognerebbe fare analisi e considerazioni più approfondite dei semplici attacchi agli evasori, che pure non devono rimanere impuniti.
Tuttavia, Landini non può andare a fondo della questione perché è l’attuale impianto di imposizione fiscale, mai realmente riformato, ad istigare all’evasione. E ricordiamo come il presente sistema sia stato sempre difeso e conservato di fatto proprio da quella politica più vicina a Maurizio Landini e al suo sindacato, cioè le varie sinistre e il Partito Democratico.
Quando qualcuno prova a mettere mano al fisco, succedeva ai governi di Silvio Berlusconi e sta capitando ora al Governo Meloni, la sinistra, aiutata anche da qualche immobilista e statalista di centro, alza subito le barricate perché qualsiasi tipo di riforma, a prescindere e chissà perché, favorirebbe i ricchi. Anche il mondo sindacale si aggrega costantemente a questi conservatori, nel senso deteriore del termine, e la confederazione più esagitata è proprio la Cgil.
Il comico Maurizio Crozza, simpatico e in gamba fin quanto si vuole, ma forse più vicino a Landini che a Giorgia Meloni, anni fa sbeffeggiava Susanna Camusso, segretaria generale Cgil prima di Maurizio Landini, spiegando come la leader sindacale sapesse nientemeno che di Fiat 128, (un vecchio modello della Casa torinese che coloro i quali hanno qualche primavera sulle spalle sicuramente ricordano).
Questo per dire come il sindacato in Italia, in particolare proprio la Cgil, sia rimasto fermo agli anni Settanta/Ottanta e a battaglie di retroguardia. Ciò che la sinistra e tutti i suoi sponsor non hanno mai voluto toccare, ottusamente, è un fisco vorace e incontentabile, forte con i deboli ed assai vulnerabile dinanzi ai forti e ai furbi. L’Erario va a racimolare il denaro soltanto laddove è molto semplice farlo, (buste paga dei lavoratori dipendenti e piccole e medie imprese, incapaci di trucchi fiscali e finanziari), ma può fare poco contro chi riesce a risultare quasi nullatenente, pur gestendo grandi realtà e capitali.
Ecco, il motto “pagare tutti, pagare meno”, caro alla sinistra e a Landini, deve essere quantomeno invertito. “Pagare meno, pagare tutti”, suona meglio perché in Italia è essenziale anzitutto diminuire la pressione fiscale, possibilmente in maniera diffusa e senza novecentesche guerre di classe, e nel contempo fare in modo che non sia più conveniente ed attrattivo evadere, sia per l’equità e la ragionevolezza delle tasse che per la capacità dello Stato di individuare e punire con severità gli evasori.
Il Governo Meloni vuole arrivare a questo e la legge delega approvata la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri, che riduce a tre le aliquote Irpef e prevede una serie di misure a favore delle imprese che collaborano con il fisco, rappresenta l’inizio di un percorso. Si vuole intanto dare un po’ di respiro al ceto medio, impoverito da anni di ripetute crisi, dallo shock economico globale del 2008 al Covid, e fare del fisco un rassicurante compagno di viaggio per il cittadino, e non un nemico. Altro che favori ai super ricchi!