Il senatore e candidato conservatore alla presidenza in Colombia Miguel Uribe Turbay, dopo essere stato gravemente ferito alla testa a colpi di arma da fuoco due mesi fa durante un suo comizio elettorale a Bogotà, e dopo avere lottato 66 giorni in ospedale per la vita, è purtroppo deceduto, a soli 39 anni. Le due pallottole sparategli in testa da un quindicenne hanno inferto danni più potenti della voglia di vivere dell’esponente politico di centrodestra che voleva sfidare alle prossime Presidenziali il Capo dello Stato in carica Gustavo Petro. All’indomani dell’attentato contro Uribe avevamo parlato di attentato alla democrazia in Colombia, rilanciando quanto dichiarato anche dalla premier Giorgia Meloni.
Oggi, nostro malgrado, dobbiamo ragionare in merito ad un agguato al pluralismo colombiano perfettamente riuscito vista la sopraggiunta morte del leader conservatore, appartenente ad una famiglia già segnata da tragici lutti e da un destino terribile. La madre di Miguel Uribe, Diana Turbay, nota giornalista, fu rapita ed uccisa nel 1991 dai narcotrafficanti del Cartello di Medellin, e, anche lei come il figlio, dovette lasciare questo mondo a 40 anni esatti. Il presidente colombiano Gustavo Petro ha espresso il proprio cordoglio giudicando la morte di Uribe come una sconfitta per tutti, e la vicepresidente Francia Marquez ha stigmatizzato la violenza in politica che non può continuare a segnare il destino della Colombia. Per la vice di Petro, la democrazia non si costruisce con proiettili e sangue. L’assalto armato contro Miguel Uribe Turbay ha fatto ripiombare la Colombia nel suo recente passato più buio, contrassegnato sia dal clima di terrore fomentato dai narcos di Pablo Escobar che da un confronto politico regolato più con le uccisioni degli avversari che attraverso la prassi democratica, senza dimenticare le scorribande criminali dei guerriglieri marxisti-leninisti delle FARC.
Però, il presidente Petro e tutti coloro che oggi detengono il potere in Colombia non se la possono cavare con mere dichiarazioni di circostanza e il pur rispettabile cordoglio, bensì, hanno il dovere di assicurare alla Giustizia i responsabili della morte di Uribe, come ha precisato il Segretario di Stato USA Marco Rubio, anche perché è impensabile che il giovanissimo attentatore, 15 anni, possa avere agito da solo. La Colombia è stata funestata dai cosiddetti baby killer, ossia, da una manovalanza criminale composta da adolescenti, usati e poi fatti sparire in qualche modo. Escobar ricorreva spesso ai ragazzini per compiere i propri delitti. Gustavo Petro, se dovesse non andare oltre alle condoglianze e disinteressarsi della ricerca della verità, ostacolandola di fatto, non darebbe di sé una buona immagine a livello politico e anche dal punto di vista morale. Apparirebbe, se non proprio come il mandante dell’omicidio di Miguel Uribe, almeno al pari di un leader al quale, tutto sommato, non dispiace di essersi liberato di un concorrente conservatore agguerrito, qual’era Uribe, per le prossime elezioni presidenziali.
Petro dovrebbe anche andare a fondo di un problema che pesa in America Latina, non solo in Colombia, e che è rappresentato da una galassia politica di sinistra rimasta ferma, tranne poche eccezioni, ai radicalismi marxisti-leninisti degli anni Settanta-Ottanta. Qui, è tuttavia sicuro il disimpegno di Gustavo Petro perché il presidente colombiano appartiene a pieno titolo al mondo appena descritto. Sono poche, in America Latina, le sinistre che si considerano socialdemocratiche, riformiste, liberal o laburiste, e, al contrario, vi è una diffusione di rivendicazioni simili a quelle della guerriglia marxista-leninista del passato, bolivariane, anti-USA all’ennesima potenza, che spesso interpretano in maniera violenta e ben poco democratica lo scontro politico. I conservatori latinoamericani, anziché essere visti come avversari da battere alle elezioni, vengono criminalizzati e giudicati alla stregua di marionette arricchite dagli odiati yankees, da neutralizzare in tutti i modi possibili e magari con qualche pallottola nella testa.
D’altra parte, molte sinistre di quell’area del mondo giungono direttamente dalle bande armate degli anni Settanta-Ottanta, lo stesso Gustavo Petro è un ex guerrigliero, e alcune sigle terroristiche di quell’epoca, le FARC colombiane, appunto, oppure il FMLN salvadoregno, si sono trasformate in partiti. Dove esse governano, pensiamo al Venezuela di Nicolas Maduro, si è arrivati talvolta alla dittatura o quantomeno ad una compressione della democrazia, e pensiamo al Brasile di Lula, già rifugio dorato del terrorista rosso italiano Cesare Battisti, dove si sta attuando una persecuzione giudiziaria ai danni dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Vi è anche una collusione, palese in Venezuela in cui Maduro cerca ogni tipo di appoggio pur di restare aggrappato al potere, e strisciante in altri Paesi, con il narcotraffico, dramma storico in America Latina. Saranno solo coincidenze, ma quando governano i conservatori in Centro e Sud America, criminalità e traffico di droga si attenuano, mentre essi tornano con prepotenza all’arrivo al potere degli ex guerriglieri marxisti-leninisti. Proprio la Colombia, con i predecessori conservatori di Gustavo Petro, aveva compiuto passi importanti nella direzione dello sviluppo economico e turistico e dell’abbandono della violenza, ma, con l’assassinio di Miguel Uribe, il Paese latinoamericano è tornato parecchio indietro. Uribe è morto anche a causa di un certo tipo di sinistra e le forze democratiche in America Latina, i conservatori e gli Stati Uniti di Donald Trump, hanno il dovere di combattere strenuamente chi tutt’oggi agisce con la stessa mentalità della lotta armata marxista-leninista.