Che “La Repubblica” sia una testata giornalistica in crisi non è certo una novità. Così come è notoria la maretta che regna tra redazione, direttore ed editore, schierati a formazioni alterne l’un contro l’altro in singolar tenzoni, rese pubbliche sia dagli stracci volati alti e ben visibili dagli spettatori compiaciuti sia dal rumore assordante dei piatti infranti per rivendicare le proprie ragioni.
Tutto ciò si inserisce in un momento di crisi dell’editoria, in particolare della carta stampata, di fronte all’avanzare quasi militaresco dell’online e delle derivazioni social. Cosa francamente poco opinabile e sbandierata da tutte le parti in causa come la ragione unica del calo delle vendite, dei lettori, degli abbonamenti e via discorrendo…
Un ottimo paravento. Anzi, un buon paravento. Facciamo un discreto paravento, che di spifferi ne passano a decine… Siamo certi non ci sia altro? Magari, la butto lì, c’entra qualcosa anche quel che si scrive? Dalle parti di Repubblica sono tutti certi che continuare a fare il foglio militante sia ancora la strategia migliore? Ovvero, è ancora bene fare il foglio militante non per le idee ma per le iperboli e mistificando la realtà dei fatti?
Una volta, prima del citato avvento dell’online, era più difficile fare confronti, e ogni eccesso era rinchiuso nella sua scatola di verità. Oggi basta accendere lo smartphone e si hanno a disposizione siti, social, numeri, che un po’ come Alessandro Borghese possono confermare o ribaltare quanto appena letto. Una volta avevi i tuoi lettori, che compravano quel quotidiano, che leggevano quegli articoli. Titolo ad effetto, foto ben scattata, uso sapiente dell’impaginazione: gioco, partita, incontro. Ora non è più così.
A Repubblica pare non l’abbiano compreso e continuano a tracciare rotte con una fantasia che meriterebbe maggiori soddisfazioni. Non si capisce se sia più la nostalgia del passato (cit. Raoul Casadei) o più una crisi isterica da zitella abbandonata dai lettori fidanzati mai divenuti mariti. In entrambi i casi, la certezza è che a repubblica continuano a spararle grosse, in maniera tanto compiaciuta da non rendersi nemmeno conto del ridicolo in cui scadono.
Ora, se a dirglielo siamo noi de La Voce del Patriota, forse aggiungeranno una tacca alla collezione dei nemici da combattere, anche se crediamo già di essere stati annoverati con onore tra le folte schiere. Se invece a far notare la cosa è Giuliano Ferrara dalle pagine del Foglio, magari una piccola riflessione potrebbe anche scaturire.
Tutto nasce dalla prima pagina della Repubblica di ieri, che a caratteri cubitali ha titolato: “Trame nere contro la Ue”. Non siamo certi se Ferrara si sia più divertito o, per l’alta considerazione che ha sempre dimostrato per il giornalismo e il mestiere di giornalista, si sia più incazzato. Forse entrambe le cose, con una maggiore propensione per la seconda. Almeno questo è quello che sembrerebbe da quanto abbia poi scritto e da come abbia sbeffeggiato Repubblica e il suo direttore Molinari.
Già dal titolo del pezzo, “Le trame nere e deliranti di Rep.”, Ferrara assesta un colpo difficile da incassare. Deliranti non è una parola a caso, verrebbe da dire che è quasi una parola da avvocati e da aule giudiziarie, una tesi e un giudizio deliranti… D’altra parte come commentare in maniera diversa un titolo simile? A Molinari e alla redazione, ancora in campagna elettorale fino alla vittoria della sinistra, è decisamente andato di traverso il risultato delle elezioni europee, con la coalizione di centrodestra al Governo che, unica in Europa, ha consolidato, anzi aumentato, i consensi, con Fratelli d’Italia a trascinare tutta la truppa. E per questo non reputano giusto che, forte di ciò, la Meloni esibisca questo risultato al tavolo delle trattative a Bruxelles. Quindi, è il momento di rispolverare la trama nera…
Lasciamo però da parte le considerazioni personali e torniamo a Ferrara. Senza replicare per intero quanto scritto sul Foglio, ci piace però sottolineare qualche passaggio.
In primis, la chiosa sul titolo, in particolare sulla parola “trama”, che Ferrara giustamente consegna alla storia dell’eversione e che condanna in questo contesto. Con parole sufficientemente taglienti: la formula trama nera “è difficile anche solo farla passare come un clamoroso errore di giudizio e professionale”. Ripetiamo insieme, come bravi studenti di fronte al maestro: clamoroso errore di giudizio e professionale.
E ancora, “peggio di un errore, è un tic”. È un tic del “giornale che si piace moltissimo e che scavalca i problemi, i dubbi, le vie traverse dell’intelligenza”. L’ironia è un’arma potentissima e piò fare molto molto male. Ferrara lo sa bene, da oggi probabilmente anche Molinari e Repubblica.
E sempre sul filo dell’ironia, come non citare il passaggio in cui, parlando di Repubblica, Ferrara scrive che “una volta questa sua scarsa autorevolezza divertiva Gianni Agnelli, il capostipite della saga poi Stellantis, ora affligge tutti e rende grottesca la sua filosofia portatile”.
Tralasciamo tutto il resto, un po’ per carità di patria un po’ per sincera vicinanza alla tragica vicenda dello sconfitto, in questo caso sbeffeggiato e quindi bisognoso di umano calore. Non celando, però, una frase vergata da Ferrara e riferita al titolo, perché crediamo possa essere un sincero spunto di riflessione per Molinari e la redazione tutta: “rischia il ridicolo nonché l’irrilevanza professionale”. Ferrara lo riferisce al titolo, chissà che invece non si possa anche riferire anche ad altro/i… In fin dei conti noi siamo lontani mille miglia dall’ironia di Roberto Gervaso e, più che il fioretto, ci capita di essere abili con la spada…