Le femministe sbagliano mira e stanno dalla parte dei pro-Pal

Come sempre, una festa che dovrebbe unire, divide. Così accade in Italia, nel fantastico mondo in cui la prima donna Presidente del Consiglio della storia italiana viene considerata “un passo dietro agli uomini” e incapace di tutelare gli interessi del sesso femminile. Lei, la leader di Fratelli d’Italia che da capo del governo ha fatto crescere l’occupazione femminile a livelli mai raggiunti prima nel tentativo di colmare lo storico gap che si distanzia dai Paesi europei, viene incolpata di non voler anteporre l’articolo femminile alla parola ‘presidente’ o di non voler cedere alla narrativa woke che impone una bella schwa al posto delle desinenze. Sono le battaglie più sentite dalle femministe oggigiorno, a quanto pare.

Il messaggio sui social di Giorgia Meloni è un monito all’unione di tutte le donne: “Coraggiose, instancabili, determinate: le donne sono il cuore pulsante della nostra società. Ogni giorno, con forza, talento e dedizione, costruiscono, innovano e ispirano. Come Governo, il nostro impegno è garantire a ogni donna le opportunità per essere protagonista in ogni settore, senza ostacoli. I numeri parlano chiaro: l’occupazione femminile ha raggiunto il livello più alto di sempre, superando i dieci milioni di donne lavoratrici. Un risultato importante, ma sappiamo che molto resta da fare per una parità piena in ogni ambito. Le donne non devono più scegliere tra carriera e vita privata. La parità significa assicurare a tutte le donne le condizioni per realizzarsi pienamente, senza sacrificare né il lavoro né la vita familiare. Continueremo a lavorare per creare le opportunità che permettono a ogni donna di esprimere il proprio potenziale al massimo, senza limiti e senza barriere”.

Il delirio: no a bandiere israeliane

Ovviamente, le sue parole non sono piaciute alle femministe. Non quelle che più di cento anni fa si riunivano in tutto il mondo per chiedere il suffragio universale, ma quelle che oggi sfilano mostrando i (loro) simboli dell’emancipazione, come vibratori e minacce contro i componenti del governo. Su tutti, il ministro della Famiglia, Eugenia Roccella, e il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. In tutta Italia hanno sfilato quelle di Non Una di Meno. Le proteste si mischiano inspiegabilmente alla lotta dei pro-Pal: a Torino i manifestanti se la prendono con un supermercato Carrefour, reo di avere rapporti con Israele. Se la prendono con la Leonardo, perché la guerra è “la massima espressione della violenza patriarcale”. E dunque, “non sono ammesse bandiere israeliane o gruppi che supportano il genocidio palestinese”. Dimenticando, ovviamente, il ruolo marginale della donna nella cultura islamica, specie nella società governata dai più fondamentalisti, da Hamas per esempio, in cui la donna, in una delle zone del mondo in cui è veramente azzeccato parlare ancora di patriarcato, è paragonata a un oggetto, costretta a indossare il velo che si fa via via sempre più integrale, al fine di preservare la sua purezza. Contro certi sistemi, ovviamente, non si è levato neppure un grido di protesta.

È questo, dunque, il classico cortocircuito in cui si ritrova la sinistra, scottata dal recente disegno di legge che ha innalzato il femminicidio a reato, punibile anche con l’ergastolo. Un durissimo colpo per chi sostiene che una leadership femminile non è per forza una leadership femminista. Meglio la concretezza delle azioni che l’astrattezza dei proclami.

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