Le spese militari servono per la difesa, non per l’attacco

Il piano “ReArm Europe”, presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, sta facendo discutere la politica e pure le varie opinioni pubbliche dei Paesi UE, come testimoniano alcuni sondaggi effettuati in Italia. Sentire la parola riarmo accostata al Vecchio Continente fa senz’altro un po’ di effetto perché l’Europa, anche se non bisogna dimenticare la guerra nella ex Iugoslavia degli anni Novanta, ancora più vicina geograficamente di quella ucraina, si è abituata a vivere tutto sommato in pace per più di mezzo secolo. Le Nazioni europee, quasi tutte, hanno partecipato alle missioni internazionali in Iraq, Afghanistan e Libia, insieme agli Stati Uniti, ma i cittadini della Unione Europea hanno vissuto, in fin dei conti, a distanza la cacciata di Saddam Hussein, dei Talebani da Kabul, oggi purtroppo tornati, e di Muhammar Gheddafi. Con questo, nessuno dimentica, è ovvio, il grande tributo di sangue pagato dall’Italia a Nassirya, Iraq, e la morte di valorosi italiani come Fabrizio Quattrocchi e Nicola Calipari. Quindi, la gente comune può pensare di essere ripiombata negli anni della Guerra Fredda, ascoltando i vertici politici europei richiamare alla necessità di nuove spese nel settore militare. La contrapposizione storica fra Occidente e Patto di Varsavia, chi ha qualche anno sulle spalle se lo ricorda, non sfociò mai in una guerra, per così dire, guerreggiata, ma portò a ripetute corse agli armamenti sia gli USA che l’allora URSS.

Giorgia Meloni, che, attraverso le recenti turbolenze internazionali, si è rivelata come una delle poche menti lucide nel mondo, ha ricordato, durante l’ultimo Consiglio Europeo, alla classe dirigente del Vecchio Continente l’importanza del linguaggio utilizzato per sostenere l’inevitabilità di un piano come ReArm Europe, al fine di far giungere il giusto messaggio nelle case degli europei. Non è fruttuoso limitarsi a buttare lì la parola riarmo, che genera qualche timore, così come ci sembrano fuorvianti le fughe in avanti del presidente francese Emmanuel Macron e di europeisti come Romano Prodi che già vedono dietro l’angolo l’esercito comune europeo. Sono altrettanto ingannevoli le posizioni degli improbabili pacifisti alla Giuseppe Conte e in salsa pentastellata, che descrivono l’Europa come un continente diventato all’improvviso guerrafondaio e Ursula von der Leyen come un Adolf Hitler in gonnella, con la sola missione di non volere la pace e di muovere guerra alla Russia. L’aggettivo ideale per Conte e il M5S è “pacifinti” perché a costoro non interessa affatto la pace nel senso più nobile di questo termine, bensì essi puntano ad un Occidente arrendevole di fronte a Russia, Cina, Iran e altre realtà nemiche della libertà, perché in fondo prediligono le autocrazie alle democrazie. Fra Macron e Conte serve il buonsenso di Giorgia Meloni e dei conservatori italiani ed europei, utile a raddrizzare il dibattito sul ReArm Europe.

La sostanza del piano portato avanti dalla Commissione UE prevede maggiori investimenti nel settore della Difesa da parte degli Stati nazionali, i quali andranno ad irrobustire i loro rispettivi eserciti e insieme potranno costituire finalmente la colonna europea della NATO voluta, non solo dalla premier Meloni e dai conservatori di ECR, ma anche dall’America di Donald Trump che chiede da tempo un contributo più ampio della Unione Europea nell’Alleanza Atlantica. Una Difesa europea sganciata dalla NATO e concretizzata da un esercito comune dei Paesi membri, non è quantomeno fattibile in questo tempo e solo se e quando sorgeranno gli ipotetici Stati Uniti d’Europa se ne potrà riparlare. In Italia, gli ex radicali con Matteo Renzi si sono presentati alle ultime Europee con una lista ispirata all’idea di una UE simile agli USA, ma non sono riusciti a far eleggere nemmeno un eurodeputato a Strasburgo, a dimostrazione di come non sia ancora condiviso dall’elettorato il disegno di un super Stato europeo. Per smentire il manicheismo dei pacifinti e dei putinisti occorre comunque ricordare che una più cospicua spesa militare non possa che essere diretta alla Difesa e, come dice appunto la parola, servire a difendere le Nazioni d’Europa da svariate minacce. Di certo, non si pensa ad un’Europa più armata ed autosufficiente per scagliarla contro qualche potenza sgradita. Semmai, è il comportamento di alcune potenze non democratiche ad obbligare l’UE a cominciare a pensare alla propria sicurezza. Oggi vi è la Russia che ha aggredito l’Ucraina e, almeno al momento, non cessa di attaccare Kiev nonostante ucraini e americani abbiano raggiunto un’intesa a Gedda, Arabia Saudita, ma domani può presentarsi il pericolo cinese o legato ad organizzazioni internazionali terroristiche. Il ReArm Europe non deve essere visto come un qualcosa di momentaneo, fatto su misura, diciamo così, per Vladimir Putin. 

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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