In oltre sessanta Paesi del mondo, l’omosessualità è un reato punibile con la detenzione. Talvolta, anche con la pena di morte, in alcuni casi persino con l’impiccagione. È lì che la lotta ai diritti civili dovrebbe farsi più forte, è verso quei Paesi, specialmente dell’Oriente e del Medio Oriente, che dovrebbe rivolgersi l’attenzione degli attivisti, al fine di riconsegnare dignità e libertà a quei popoli oppressi da dittature feroci o sottomesse al volere delle autorità religiose.
Nessun interesse in Oriente
Ma ciò non avviene: una parte del mondo viene totalmente dimenticata, gli omosessuali asiatici vengono quasi considerati di serie B, ignorati dinnanzi l’opportunità di veder prevalere le teorie gender in Europa persino sull’ordine naturale delle cose, su cui si basa la nostra società europea, giudaico-cristiana. È chiaro: la lobby Lgbt non ha interessi a espandersi in Oriente, prospera felicemente qui in Occidente dove ha (per fortuna) le garanzie costituzionali per farlo. I Paesi arabi vengono dimenticati senza troppe remore: basti pensare, a titolo esemplificativo, alla sfacciataggine con cui le grandi multinazionali ci propinano, in Europa, i loro nuovi loghi a tema arcobaleno in occasione del mese del pride, il Pride Month, mentre nelle loro sedi mediorientali se ne infischiano del mondo Lgbt e lasciano invariati i loro loghi. Il mese del pride è giugno e siamo pronti a rivedere, anche quest’anno, la stessa scenetta.
Sovvertire la società occidentale
Dunque l’Occidente, per via delle sue garanzie, è la terra preferita dagli attivisti Lgbt per espandere il loro verbo. Da anni ormai, celandosi dietro la giusta difesa delle persone gay di fronte a discriminazioni e violenze di matrice omofobe – battaglia riconosciuta anche dal governo italiano: il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la Transfobia e la Bifobia, ha espresso la volontà di “combattere ogni forma di discriminazione, violenza e intolleranza” e di “tenere alta l’attenzione della comunità internazionale sulle persecuzioni e sugli abusi” che troppo frequentemente nel mondo “vengono ancora perpetrati in base all’orientamento sessuale” – la comunità Lgbt ne approfitta per allargare le teorie gender nelle nostre società occidentali, che già prevedono tutti i mezzi di tutela per le persone Lgbt. Un conto, infatti, è lottare contro le discriminazioni e contro il retaggio culturale che porta a rifiutare l’omosessuale, tutt’altra cosa è permettere a tali teorie di sovvertire il nostro modo di vivere, interamente basato, a ragione, sull’identificazione dell’uomo e della donna, e in base a tali categorie si fondano leggi e tutele ad hoc. Una totale abolizione del dualismo maschio-femmina porterebbe alla loro disgregazione. Questo, in sostanza, era contenuto nella vituperata dichiarazione europea Lgbt, che l’Italia, insieme ad altri 8 Stati membri, ha deciso di non sottoscrivere.
Le donne sarebbero svantaggiate
Il perché dunque è chiaro: tale dichiarazione rischia di abolire l’intero impianto della nostra società a suon di “siamo tutti uguali”. Nessuna più distinzione per sesso: a uomini e donne stesse tutele, stesse prerogative, stesse condizioni. Nulla di diverso, nessuna constatazione aggiuntiva del fatto che le donne possono subire più facilmente violenze da parte di uomini per naturali ragioni di forza fisica. Le donne uguali agli uomini e viceversa: e così, addio a intere legislazioni, frutto di lunghe battaglie, contro la violenza domestica o il femminicidio, che non avrebbero più avuto motivo di esistere. O nello sport, addio a gare separate per categorie: uomini e donne avrebbero gareggiato insieme, uno contro l’altro. Ma se, ad esempio, nella corsa gli uomini raggiungono in natura velocità più elevate delle donne, è chiaro di chi sarebbe lo svantaggio. Le donne sarebbero state platealmente le vittime dirette delle derive gender. A decretarlo non certo un omofobo e misogino, ma Paolo Concia, femminista e attivista Lgbt del PD: “Le istituzioni che non vogliono essere escludenti – ha spiegato nei giorni scorsi al Messaggero – devono fare molta attenzione altrimenti i diritti di un gruppo andranno a detrimento di quelli di un altro, in questo caso delle donne che, ripeto, non sono una minoranza”. E questo perché “i diritti di alcuni gruppi non possono di certo andare a scapito dei diritti di altri gruppi”. Fattuale principio democratico.
Del genere umano (finora) si conoscono solo due categorie le femmine e i maschi.
In natura non esiste altro genere.
Chiunque cerchi di dimostrare il contrario non ha nessuna possibilità di riuscirci.
Chi non riconosce il proprio status femminile o maschile non appartiene al genere umano.
Le teorie gender a differenza del status umano reale, sono confutabili perché esistono solo in quanto teorie.