Legnini e Palamara: la sintesi dell’intreccio tra stampa, politica e magistratura.

Legnini, al centro delle polemiche su magistratopoli/giornalistopoli per le esternazioni sul caso Diciotti intercettate nell’ambito dell’inchiesta Palamara, non sente il dovere di fare passi indietro e ribadendo la legittimità dell’azione del CSM, scarica l’ex amico di Unicost e sussurra imbarazzate scuse solo nei confronti de “La Repubblica”.

L’improntitudine con cui l’ex vicepresidente del CSM affronta la vicenda conferma la sensazione che si è andata concretizzando in questi giorni, ossia che negli intrecci tra politica, magistratura e stampa i protagonisti hanno una la percezione di totale impunità.

Legnini cresce politicamente nelle fila del partito comunista, poi DS, poi il PD. Dopo l’elezione al Senato entra nel governo Letta, sottosegretario con delega all’editoria. Suo successore all’editoria Luca Lotti. Con Renzi è nominato sottosegretario al MEF e proprio durante quell’esperienza di governo viene eletto in quota pd, come membro laico, vicepresidente del csm (non un magistrato eletto da magistrati ma avvocato eletto dal Parlamento in seduta comune). Per la prima volta viene eletto al csm un membro dell’esecutivo in carica, con dichiarata soddisfazione dell’allora presidente della Repubblica Napolitano,  e ricordiamo presidente del csm, e le furenti reazioni del M5S, che definirono quella indicazione come il solito gioco sporco dell’asso piglia tutto Renzi. Lascia l’incarico e viene candidato alla presidenza della Regione Abruzzo, perde sonoramente contro il candidato del centrodestra Marsilio, ma rifiuta l’idea e dice di aver fatto un gran lavoro. Per questo “successo”, viene dunque nominato commissario per la ricostruzione delle zone terremotate. Mai senza una sedia. Ed ecco cosa emerge dalle intercettazioni. Legnini vittima del trojan di Luca Palamara appare sicuro e asciutto nei toni quando chiede che il csm prenda posizione sulla questione Diciotti “dovete produrre una nota, qualcosa”. Legnini appare assertivo e convincente quando dice a Luca Palamara “Il problema è orientare il gruppo. Parla con i giornali, deve passare la linea della vendetta nei tuoi confronti … se vuoi parlo io, con Repubblica ho rapporti al massimo livello”.

Sono parole pesanti, che spaventano per la sicumera con cui vengono pronunciate. Il senso è: io oriento i magistrati contro la politica che non mi piace e muovo i fili dei giornalisti burattini che scrivono quello che voglio.

E nonostante tutto, oggi Legnini ci dice di essere un uomo che ha sempre tutelato l’indipendenza della magistratura, ed è per questo che ha voluto proteggere la categoria dagli “attacchi della politica”. Peccato che sul caso Diciotti non era la politica ad interferire nelle indagini, mentre le indagini stavano invece pesantemente interferendo sulle scelte del ministro.

Scarica infine Palamara, dicendo che il suo unico peccato è stato quello di aver creduto ad un amico contaballe e che mai avrebbe avuto il potere di orientare Repubblica, unico soggetto nei confronti del quale pronuncia delle imbarazzate scuse per la “frase infelice”.

Ci limitiamo dunque a segnalare quanto detto in premessa, il mai senza una sedia Legnini, del partito democratico, è stato sottosegretario all’editoria, così come il suo successore Lotti, altro esponente PD intercettato a mercanteggiare i posti nelle procure con Palamara.

Legnini ha chiesto alla magistratura di prendere posizione sulle scelte politiche di un ministro, ha detto che avrebbe potuto influire sulla stampa giudiziaria, ha difeso l’ex amico Palamara e tutto questo in virtù del suo potere politico e di un ascendente sulla stampa che deriva da un pregresso importante incarico di governo proprio all’editoria. Dall’analisi dei dati possiamo dunque trarre le nostre conclusioni e affermare che Legnini, per quanto seguiti ad autoconferirsi patenti di legittimità, sembra assommare su di sè tutti i tratti distintivi di quella che è la più grande catastrofe politico giudiziaria dall’inizio della seconda Repubblica.

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