Niente da fare, la sinistra proprio non ce la fa ad abbandonare la strada dell’opportunismo e dell’ipocrisia. Ieri difensori delle prerogative parlamentari, oggi difensori dei senatori a vita a oltranza: più ne sono e meglio, a scapito della rappresentanza del popolo votante. Perché più senatori a vita vuol dire essenzialmente tre cose.
- Primo: diminuire il numero dei senatori eletti dal popolo. Un modo, insomma, per potersi giocare un jolly. Basterà avere un Capo dello Stato “meno super partes” o sperare in nomine “amiche” così da poter contare su un appoggio in quelle votazioni, come spesso capita, in cui il rischio di finire in minoranza è alto. Il tutto a scapito, come detto, del corpo elettorale, che vedrebbe diminuire il numero di senatori da poter scegliere direttamente ed eleggere. E si andrebbe così a corroborare quel già forte meccanismo che offende la capacità decisoria dell’elettorato, che porta al governo coalizioni unite soltanto dopo il voto e personaggi mai passati per il vaglio elettorale. Quel meccanismo, insomma, che la riforma del premierato vuole abolire. Sappiamo che alla sinistra fanno paura le elezioni, e questo tentativo di restringere il loro impatto ne è l’ennesima dimostrazione. Già si è visto con la diminuzione del numero dei parlamentari, voluta dai grillini nella scorsa legislatura: un sistema parlamentare che riduce il numero dei parlamentari, e dunque dei rappresentanti del popolo. Ora invece vorrebbero decrescere il suo potere elettorale.
- Secondo: “rafforzare” i poteri del Capo dello Stato. Il verbo è tra virgolette non a caso: per mesi la sinistra ha basato la sua narrazione contro il premierato sulla presunta volontà, da parte del centrodestra, di voler diminuire i poteri del Presidente della Repubblica. Niente di più falso, le sue prerogative resteranno identiche e intatte e dinnanzi all’evidenza dei fatti, dem e compagni vari si aggrappano a quello che possiamo definire un “sottopotere” del Capo dello Stato, per via della sua secondaria importanza all’interno dell’ordinamento democratico e della sua valenza prettamente simbolica: la nomina dei senatori a vita, appunto. La loro abolizione, una scelta per ovvie ragioni condivisibile, comporterebbe la caduta di tale sottopotere. E allora ecco che la sinistra vi si aggrappa, proponendo l’opposto: aumentarne il numero. Quasi per dispetto, o per avere qualcosa di cui lamentarsi.
- Terzo: mettersi all’estremo opposto del centrodestra. Scelta ideologica da parte della sinistra, che non mira a soddisfare le esigenze del popolo ma soltanto a differenziarsi dalle scelte degli avversari, in un mero gioco di luci e ombre che strumentalizza i contenuti e non fa bene al dialogo su una riforma che, in teoria, richiederebbe confronto e pluralità, vista la sua fondamentale valenza per tutto il popolo italiano.
L’ipocrisia dei grillini: “muoiono tardi” scrivevano, ora ne vogliono di più
Gli emendamenti della sinistra alla riforma del premierato chiedono proprio questo: che il numero dei senatori a vita raddoppi. Da 5 a 10. Per difendere il potere del Presidente della Repubblica di nominarli. Gli emendamenti sono a firma di senatori di PD e Avs, ma alla festa si aggiungono anche i grillini. Tuttavia, facendo qualche ricerca in rete, si scova, con poche difficoltà, un articolo pubblicato dal Movimento Cinque Stelle sulla rivista online “Il Blog delle Stelle”, sulla piattaforma Rousseau. Risale al 2012, 28 agosto per i più pignoli. Il titolo è emblematico: “Senatori a vita, praticamente eterni”. E all’interno del testo, un tripudio di fango verso l’istituto dei senatori a vita. Poi la frase invecchiata peggio di tutte: “I senatori a vita non muoiono mai, o almeno muoiono molto più tardi”, coronata anche dal grassetto, a sottolinearne la centralità. Dopo i toni si raffreddano e si legge: “La composizione del Parlamento, in teoria, dovrebbe essere decisa solo dal popolo sovrano. Non è così. L’istituto delle nomina del senatore a vita sfugge a qualunque controllo democratico. È una promozione di carattere feudale, baronale, come ai tempi dei valvassini e dei valvassori. Per diritto divino. Il presidente in carica può influenzare senza rendere conto a nessuno la legislatura successiva alla sua presidenza nominando chi gli aggrada”. Posizione condivisibile, se non fosse che ieri, in Aula, i grillini hanno fatto come al solito dietrofront. Ora i senatori a vita vanno difesi e l’appoggio agli emendamenti dei colleghi di sinistra (e al fronte ideologico contro il premierato) non è affatto mancato. Celano la metamorfosi dietro una generica esigenza di “riforma” dell’istituto, ma è doppiezza allo stato puro, esempio pratico del lemma ipocrisia, da tenere in considerazione da Treccani e Devoto-Oli. Ipocrisia che già nel 2021 fu notata quando gli stessi grillini, allora al governo, dovettero contare sul voto dei senatori a vita per ottenere la fiducia e restare a Palazzo Chigi. Fiducia votata anche da Mario Monti, che sul blog fu definito “Rigor Mortis”. Insomma, di quell’irriverenza dei primi tempi non è rimasto nulla: ora i grillini formano un trio formidabile con PD e Avs (anche se il campo largo è un miraggio) e si rinchiudono, al pari dei colleghi perbenisti e neo-comunisti, nelle loro barriere ideologiche al solo fine di indebolire il governo e di non far approvare la riforma costituzionale. Falliranno in entrambi gli intenti.