Gli adolescenti di oggi, tecnicamente nativi digitali, crescono in una dimensione sociale profondamente diversa dalla nostra. Considerano il mondo digitale non un’estensione della realtà, ma come parte integrante della loro vita quotidiana. Comunicano tra di loro più tramite WhatsApp che attraverso conversazioni faccia a faccia; una tendenza che li abitua a modalità comunicative filtrate, più superficiali e sempre più vicine – anche per emulazione – a quelle che trovano online nei “reel” di TikTok.
Questo tipo di contenuti, rapidi e ipnotici, sono progettati per catturare l’attenzione e mantenerla, creando un’esperienza estremamente additiva e passiva. E questo non riguarda solo i giovani: anche gli adulti vengono risucchiati in questo vortice di consumo di contenuti, un circolo vizioso che riduce la soglia di attenzione, frammenta la capacità di concentrazione togliendo, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, un’enorme quantità di tempo a studio, lavoro, sport, svago e gestione delle relazioni personali.
Con la ripresa della scuola, è cruciale che genitori, professori e dirigenti scolastici vadano oltre la solita narrativa proposta dai media mainstream, che tende a semplificare e a banalizzare il fenomeno. Dobbiamo avere il coraggio di guardare più a fondo per comprendere davvero l’impatto del web sui nostri figli e per proteggere la loro capacità di pensare liberamente e criticamente in un contesto che spesso favorisce il conformismo e la superficialità.
Una generazione di rapporti filtrati
Il digitale ha radicalmente trasformato il modo in cui gli adolescenti interagiscono tra loro e con il mondo. Oggi è infatti sufficiente possedere uno smartphone ed essere connessi per diventare un potenziale media e avere visibilità, o anche solo illudersi di averla. Questo, tuttavia, comporta un aumento esponenziale degli input a cui i giovani sono esposti, inducendoli a disperdere attenzione e tempo.
Il risultato? La conversazione faccia a faccia viene sostituita dal messaggio vocale su WhatsApp, dove per rappresentare un’emozione, anziché sforzarci a scrivere possiamo utilizzare un’emoji o dare un “cuoricino” al messaggio che abbiamo appena ricevuto. Questo modo di comunicare riduce la complessità e la profondità delle relazioni, rendendole più immediate e superficiali.
La stragrande maggioranza dei contenuti che girano tra loro (spesso diffusi agli amici da chi, nonostante l’età, possiede comunque un account social) sono video brevi, montati con effetti speciali, suoni accattivanti e messaggi sintetici, progettati per catturare e mantenere l’attenzione. Ma proprio per la loro natura, questi contenuti non richiedono alcuno sforzo intellettuale né alcuna riflessione profonda. Sono confezionati per il consumo immediato, per alimentare una sorta di “disfunzione narcotizzante” che spinge i nostri giovani a sentirsi informati e coinvolti senza mai impegnarsi realmente in un’azione o in una riflessione critica.
Per questi ragazzi, la realtà non è più un insieme di esperienze dirette, ma piuttosto una sequenza di immagini e video che scorrono sui loro schermi. La loro percezione del mondo è mediata da algoritmi che selezionano i contenuti da mostrare in base ai loro interessi e comportamenti precedenti, creando bolle informative che limitano l’esposizione a idee diverse e promuovono la polarizzazione.
Il mondo reale, con tutte le sue sfumature e complessità, si riduce a un semplice schema: ciò che piace, ciò che non piace, ciò che è “cute” e ciò che invece è “cringe”. Ogni giorno, le loro opinioni, gusti e preferenze sono costantemente modellati da algoritmi che mirano a mantenerli connessi il più a lungo possibile. Non è un caso che si parli sempre di più di “lavaggio del cervello digitale”: una manipolazione sottile, pervasiva, che mira a conformare i giovani a una determinata ideologia o visione del mondo.
Indottrinati e non stimolati a sviluppare e il pensiero critico
L’uso dei social media da parte degli adolescenti si inserisce perfettamente nel quadro di manipolazione delle masse di cui parlavo in precedenza. Ogni giorno, una moltitudine di contenuti viene messa in circolazione affinché la narrazione dominata dal politicamente corretto possa attecchire, facendo presa sulla massa. Come dimostrato dai “Twitter Files” e dalla recente ammissione di Mark Zuckerberg, le principali piattaforme social operano con un evidente bias: spesso censurano le opinioni conservatrici e amplificano quelle che riflettono la cultura radical chic e l’ideologia woke. Questa asimmetria di trattamento costruisce un ambiente di discussione pubblica dove alcune opinioni sono legittime e altre vengono automaticamente bollate come fasciste, razziste o populiste. Altro che inclusione.
Per gli adolescenti, che stanno ancora formando la loro identità e il loro sistema di valori, questo contesto rappresenta un enorme rischio. La manipolazione algoritmica li priva della capacità di sviluppare un pensiero critico e autonomo, inducendoli a conformarsi a una narrativa dominante per evitare il rischio di essere etichettati o marginalizzati.
Il ruolo di noi adulti
Noi genitori per primi dobbiamo avere la pazienza necessaria per sviluppare un dialogo con i nostri figli, stimolandoli quotidianamente ad andare oltre la narrazione superficiale proposta dai media mainstream, che tende a ridurre il fenomeno a questioni di sicurezza online, come il cyberbullismo o l’uso eccessivo del tempo sullo schermo. Questi sono problemi reali, certo, ma rappresentano solo la punta dell’iceberg. La vera questione riguarda la perdita di autonomia intellettuale e la crescente incapacità dei nostri ragazzi di pensare in modo critico e indipendente.
Chi controlla gli algoritmi controlla le masse: si tratta di un combinato disposto di cui fanno parte anche i media tradizionali e i principali produttori di contenuti d’intrattenimento, basti pensare alla deriva woke di Netflix e Disney. È quindi essenziale che i giovani sviluppino un uso consapevole e critico delle piattaforme digitali, comprendendo come funzionano questi strumenti e come possono manipolare la loro percezione del mondo; non possiamo lasciare che crescano come ingranaggi di un sistema che mira a erodere ciò che rimane dei valori tradizionali, riempiendo il vuoto con i dettami del pensiero unico.
Davanti a questa realtà complessa, genitori, professori, dirigenti scolastici e Istituzioni hanno una responsabilità cruciale: devono educare i giovani a un uso più consapevole e critico dei social media. Non basta imporre regole o restrizioni, è necessario che a scuola sia promossa una cultura della consapevolezza digitale che spinga i ragazzi a riflettere su come e perché utilizzano questi strumenti, anche raccontandogli l’evoluzione degli ultimi 40 anni. È necessario che capiscano le logiche dietro agli algoritmi, imparando a riconoscere le dinamiche manipolative e a sviluppare un pensiero indipendente.
È importante anche offrire alternative al mondo digitale: promuovere attività che stimolino la creatività, la curiosità intellettuale e le relazioni reali. Solo così si può contrastare l’effetto narcotizzante e passivo delle piattaforme digitali, restituendo ai ragazzi la capacità di pensare con la propria testa e di agire nel mondo reale.
Educare alla libertà d’opinione
Gli adolescenti di oggi si trovano a un bivio cruciale: da una parte, il rischio di crescere come una generazione frammentata, priva di un’identità solida e vulnerabile alle manipolazioni dei grandi colossi digitali; dall’altra, la possibilità di imparare a usare questi strumenti in modo consapevole e critico, sviluppando una nuova forma di cittadinanza digitale che metta al centro la libertà di pensiero e l’autonomia individuale.
La strada non è certo semplice e richiede un impegno congiunto di tutta la società: dai genitori agli educatori, fino ai leader politici. Ma è una sfida che dobbiamo affrontare se vogliamo garantire un futuro in cui la tecnologia sia uno strumento di emancipazione e partecipazione, non di oppressione. Oggi più che mai, chi controlla gli algoritmi controlla il mondo. E spetta a noi assicurarci che il controllo rimanga nelle mani di individui liberi e consapevoli, non di entità anonime e invisibili che cercano di plasmare la nostra realtà a loro vantaggio.