Gli orrori delle tirannie del passato, nazismo e comunismo staliniano in primo luogo, anche se per decenni alcuni hanno preferito notare solo i crimini di Adolf Hitler e tacere su quelli perpetrati da Stalin, vengono tuttora ricordati ed è sacrosanto che lo si faccia affinché non vengano dimenticate certe lezioni impartite dalla Storia e non si ripetano più le tragedie del Novecento. Ma anche il mondo contemporaneo è purtroppo caratterizzato da satrapie che hanno ucciso e continuano ad uccidere gli oppositori e, assai gratuitamente, chiunque non rientri nei parametri del loro fondamentalismo politico e soprattutto religioso. Una di queste e’ senz’altro la dittatura teocratica iraniana degli ayatollah, al potere a Teheran dal 1979. Tale regime integralista islamico-sciita, oltre a promuovere l’odio anti-occidentale e finanziare Hamas e Hezbollah, attua da sempre una sistematica repressione, in particolare attraverso le condanne a morte con impiccagione, verso chi si oppone, anche solo con le parole, al totalitarismo degli eredi di Ruhollah Khomeini, le donne considerate irrispettose dei precetti dell’Islam radicale, e gli omosessuali in quanto tali. Negli ultimi anni l’oppressione delle barbe fondamentaliste ha addirittura aumentato la propria intensità perché, per la prima volta e dopo anni di dominio pressoché indisturbato, gli ayatollah hanno dovuto fronteggiare nel 2009 proteste studentesche e scontri di piazza durati giorni, a seguito della contestata vittoria alle elezioni presidenziali di Mahmud Ahmadinejad. A causa di quelle tensioni la teocrazia sciita è divenuta gradualmente un po’ meno sicura di sé, reagendo poi nell’unica maniera che essa conosce, ovvero tramite una maggiore violenza, gli arresti arbitrari e le esecuzioni capitali. Ha colpito tutto il mondo e lo stesso Iran la morte di Mahsa Amini, la 23enne curdo-iraniana deceduta durante l’arresto da parte della polizia religiosa. La giovane si trovava in vacanza a Teheran ed era stata prelevata da alcuni agenti perché, a loro dire, non stava indossando il velo, l’hijab, in una maniera corretta e fuoriuscivano dei boccoli, (questo è l’Iran degli ayatollah). La polizia ha parlato di un infarto sopraggiunto all’improvviso, ma testimonianze e prove hanno confermato un avvenuto pestaggio e il successivo decesso provocato da una emorragia cerebrale. La tragica ed ingiusta fine di Mahsa Amini, giunta il 16 settembre del 2022, ha spinto di nuovo, dopo le grandi manifestazioni popolari del 2009, giovani e meno giovani a scendere in piazza ad urlare la loro sacrosanta indignazione verso i metodi sempre più brutali del regime. Anche alla fine dell’anno scorso, Pasdaran e Basij, ossia l’ala militare e paramilitare della teocrazia iraniana, non si sono fatti scrupoli nel soffocare le proteste con arresti di massa ed uccisioni a sangue freddo. E’ arduo quindi delineare una qualche forma di dialogo e realpolitik fra l’Occidente e l’Iran perché, oltre al sanguinario totalitarismo interno, gli ayatollah costituiscono una minaccia anche al di fuori dei confini dell’antica Persia. Barack Obama aveva provato a discutere con i vertici della Repubblica islamica, ma i risultati della tentata distensione furono scarsi, e tuttora non vi sono certezze sulla natura pacifica del programma di sfruttamento della energia nucleare da parte di Teheran. Non a caso, Donald Trump decise poi di interrompere l’inutile e finanche rischioso processo avviato dal predecessore. Nella guerra in corso in Medio Oriente, fra Israele e i terroristi di Hamas, l’Iran è dentro sino al collo e dietro agli attacchi ai danni delle navi occidentali compiuti nel Mar Rosso dagli Houthi, gruppo terroristico yemenita, vi sono sempre i fondamentalisti sciiti alla guida della Repubblica iraniana. Quanto sta succedendo nel Mar Rosso è molto preoccupante, sia a livello geopolitico che economico, infatti, una ventina di Paesi, fra i quali l’Italia, sta predisponendo una missione finalizzata a scoraggiare gli attentati degli Houthi e a garantire la sicurezza in quell’area. Il nostro ministro della Difesa Guido Crosetto ha lanciato l’allarme in merito alla situazione nel Mar Rosso, che non è affatto da sottovalutare. Comunque, quelle brave persone, si fa per dire, degli ayatollah, fra guerre esterne e repressioni interne, hanno giustiziato qualche giorno fa, con il solito cappio al collo, la 29enne Samira Sabzian, con una storia diversa da quella di Mahsa Amini, ma altrettanto nefasta. Samira è stata definita dai media come la sposa bambina perché all’età di 15 anni fu costretta a sposarsi con un uomo adulto, responsabile poi di pesanti maltrattamenti domestici. Quattro anni dopo quel matrimonio forzato, nel 2013 per l’esattezza, Samira Sabzian, evidentemente stanca di subire continui soprusi, uccise il marito e fu subito arrestata e condannata a morte. Ha trascorso dieci anni in carcere ed è stata impiccata il 20 dicembre scorso. Nessuna pietà, nessuna attenuante per questa ragazza che ha vissuto poco e molto male. Gli estremisti islamici vedono Satana dappertutto e ovviamente, prima di ogni altro luogo, lo scorgono nelle società occidentali, ma il vero inferno pare trovarsi invece in Paesi come l’Iran. Cosa c’è di più diabolico di condurre al patibolo, senza battere ciglio, una giovane donna che sì, ha ucciso, ma per proteggersi da un marito violento e mai voluto? Inoltre, cosa c’è di più diabolico dell’obbligare un’adolescente, una bambina a sposare controvoglia un uomo che potrebbe essere tranquillamente suo padre, e, diciamola tutta, ad andare a letto con lui? Le impiccagioni e i matrimoni combinati sono cose che fanno raggelare il sangue, ma rappresentano la routine in alcune realtà islamiche. Samira è la diciottesima donna ad essere stata giustiziata in Iran nel corso del 2023. Se tutto questo può essere consueto nella Repubblica islamica degli ayatollah, la morte di Samira Sabzian dovrebbe invece generare un’ondata di disgusto presso l’opinione pubblica occidentale. Tutti i giornali, in Italia e sicuramente anche altrove, hanno riportato l’impiccagione di Samira, ma ci aspettavamo maggiore rumore da parte di una fetta della società italiana in special modo, la quale non si è rivelata invece granché turbata dal cappio stretto intorno al collo della sposa bambina. L’omicidio di Giulia Cecchettin, ad opera del suo ex fidanzato Filippo Turetta, ha riportato in auge in Italia un termine ormai del tutto dimenticato, perché legato ad una realtà inesistente nella Penisola da almeno una quarantina di anni, ossia il famigerato patriarcato. E’ curioso come coloro i quali denunciano il Medioevo in Italia, con evidenti forzature e strumentalizzazioni, non si agitino poi più di tanto di fronte alle condizioni infernali delle donne e delle minoranze che contraddistinguono l’Iran delle barbe fondamentaliste ed anche altri Paesi dove l’Islam è maggioritario. Altro che patriarcato! Certo, Teheran è un poco più distante di Vigonovo, paese appartenente alla Città metropolitana di Venezia e dove viveva la povera Giulia Cecchettin, e fare, per esempio, fiaccolate davanti all’ambasciata iraniana a Roma non smuoverebbe di un millimetro gli ayatollah, ma rimanere quasi completamente silenti dinanzi alla esecuzione di una giovane donna che ha iniziato a soffrire sin dall’adolescenza e non ha mai saputo, durante la propria e breve esistenza terrena, cosa significhi amare ed essere amati, beh, è vergognoso e da vigliacchi. Eppure, esistono individui e gruppi in Occidente, tanto negli Usa quanto in Europa, che non esitano a mettere in piedi lunghe campagne propagandistiche circa fatti, senz’altro esecrabili, avvenuti nel Vecchio Continente o in qualche angolo degli States, ma diventano meno determinati nel momento in cui è doveroso denunciare a squarciagola i crimini di dittature come quella iraniana. Si battono per i diritti di donne e gay dove essi sono già affermati da molto tempo e si distraggono invece quando una ragazza come Samira muore impiccata o un ragazzo subisce la stessa sorte in quanto omosessuale o anche solo ritenuto arbitrariamente tale dalla polizia religiosa. Viene da pensare che la distrazione e le tante contraddizioni siano volute e pianificate da elementi occidentali che odiano il luogo in cui vivono. Essi non possono scagliarsi più di tanto contro una dittatura anti-occidentale come quella iraniana perché la Repubblica islamica, la quale, se potesse, raderebbe al suolo anzitutto Israele e poi tutti noi, è funzionale al loro odio masochistico. Sono come quei figli che detestano la loro famiglia o se ne vergognano. Meglio colpevolizzare sempre la civiltà occidentale e la sua Storia. L’Occidente si deve costantemente vergognare di quello che è ed è stato, sia se in Veneto una sventurata 22enne viene uccisa dal proprio ex fidanzato che se a Minneapolis un uomo afroamericano, George Floyd, viene assassinato da un agente, bianco, della polizia. Da qui sono nate le pseudo-ideologie “woke” e “cancel culture” che hanno contaminato il dibattito pubblico, prima in America e poi anche in Europa, con una miriade di sciocchezze che però, come ha avuto modo di evidenziare in più occasioni Elon Musk, non devono essere sottovalutate. Dalle prediche di alcuni soloni si può arrivare, anzi, si è già arrivati a violare l’essenza della democrazia liberale attraverso le censure applicate nel mondo dello spettacolo e nella informazione. Gli utenti della televisione, dei giornali o del web, sono sufficientemente maturi da riuscire a distinguere da soli una battuta innocua da un insulto omofobo o razzista, eppure è diventato sempre più complicato scherzare in maniera del tutto innocente e chiamare le cose con il loro nome, e, per esempio, certi film comici degli anni Ottanta oggi subirebbero dei tagli radicali. L’eccesso del politicamente corretto soffoca la libertà e non dovrebbe avere nulla a che fare con un mondo che vogliamo continui ad essere libero. La cancel culture ha portato addirittura a rimuovere alcuni monumenti come la statua del Generale confederato Robert Edward Lee a New Orleans, e una delle missioni dei conservatori di tutto il mondo è proprio quella di contrastare tali pericolose degenerazioni. Una civiltà che non vuole più sapere da dove arriva è destinata ad essere sopraffatta e la Storia va studiata e ricordata tutta, inclusa quella che naturalmente non deve più riapparire e pensiamo alla segregazione razziale negli Stati Uniti e ai totalitarismi europei del Novecento. Spesso, i casi orribili che avvengono in Occidente, come le succitate morti di Giulia Cecchettin e dell’afroamericano George Floyd, devono essere trattati singolarmente perché le varie storie possono essere diverse fra loro, e di sicuro, ad ogni evento delittuoso, non è davvero il caso di processare un’intera civiltà, fare becera propaganda ed inventarsi nuove ideologie, peraltro illiberali. Tanto per rimarcare una delle tante differenze abissali che intercorrono fra le democrazie e un sistema come quello iraniano, rimanendo sempre sulle due brutte vicende citate in questo articolo, ricordiamo come l’agente di polizia responsabile della morte di Floyd si trovi rinchiuso in un penitenziario americano a scontare una lunga condanna e Filippo Turetta trascorrerà, come è giusto che sia, molti compleanni e festività varie dietro alle sbarre, mentre, se non fosse stato ucciso dalla moglie, il marito di Samira Sabzian, nonostante i maltrattamenti e le violenze domestiche, sarebbe ancora a piede libero in qualche parte dell’Iran. Questo Occidente, pur con tutti i suoi difetti e la necessità costante di migliorarsi, teniamocelo ben stretto perché garantisce, anche a chi lo odia dall’interno, sufficienti libertà e rimane il miglior mondo possibile rispetto agli integralismi religiosi e alle autocrazie tuttora esistenti.