E’ mercoledì mattina. Siamo in un centro commerciale di Culiacán, la capitale dello stato di Sinaloa, in Messico. Le telecamere a circuito chiuso che controllano il parcheggio del centro commerciale registrano una scena terribile. Due uomini armati di fucili automatici scendono da un’auto di colore rosso e aprono il fuoco contro una berlina a quattro porte bianca Nissan posteggiata lì accanto.
A bordo della Nissan, il corpo crivellato da 170 colpi, resta il cadavere di un ufficiale di alto livello della polizia preventiva statale di Sinaloa. Secondo i resoconti dei media locali, l’ufficiale è stato coinvolto nell’arresto del 17 ottobre scorso di Ovidio Guzmán López, uno dei figli del capo del cartello di Sinaloa, Joaquín ‘El Chapo’ Guzmán.
Quelle nei confronti dei cartelli della droga messicani, specialmente del cartello di Sinaloa, non sono pur complesse operazioni di polizia, ma vere e proprie battaglie in una sorta di guerra tra il governo centrale del paese e delinquenti che detengono il vero potere in moltissime zone della nazione dove legge e ordine faticano ad arrivare. Basta vedere cosa è accaduto in occasione proprio dell’arresto di Ovidio Guzmán López. La forze di sicurezza messicane erano infatti riuscite a catturare il figlio del El-Chapo, e lo avevo trascinato fuori dal suo covo, e fatto inginocchiare accanto a un muro della casa mentre provvedevano per il suo trasporto in prigione. A questo punto, però, i poliziotti erano stati richiamati ed erano stati costretti ad indietreggiare e a lasciare libero l’uomo.
Cosa era accaduto, è stato poi spiegato in seguito. La settimana scorsa il segretario alla Difesa Luis Cresencio Sandoval ha reso pubblico un video che mostra una sequenza temporale dell’operazione fallita per arrestare Guzmán López, ‘un incidente’ che ha imbarazzato non poco l’amministrazione del presidente Andrés Manuel López Obrador. Il video, girato dai soldati, mostra Guzmán di uscire di casa con le mani alzate. In lontananza, intanto, si sentono numerosi colpi di armi da fuoco. A questo punto, uno degli uomini delle forze dell’ordine chiede a Guzmán López di far cessare gli attacchi della sua gente in città. Ovidio Guzmán López con un cellulare contatta il fratello Archivaldo Ivan Guzmán Salazar e gli chiede di fermare il caos che i suoi uomini stanno scatenando in città.
Archivaldo, però, non sembra dare ascolto a Ovidio. Urla ingiurie e minacce contro i soldati e le loro famiglie e fa continuare gli attacchi tanto che qualche minuto dopo si cominciano a registrare i primi feriti tra le forze dell’ordine. Nella battaglia che ne è seguita sono state uccise tredici persone. I funzionari governativi di Città del Messico, si sono visti costretti ad ordinare il cessate il fuoco dopo 4 ore di continue sparatorie, soprattutto per evitare altro spargimento di sangue.
In seguito, Il segretario della Sicurezza pubblica del Messico, Alfonso Durazo, ha affermato che l’operazione per arrestare Ovidio Guzmán Lopez, poi interrotta, è stata una ‘azione affrettata’ che sicuramente merita alcune critiche, anche se ci sono giustificazioni, non ultimo il fatto che l’operazione, studiata nei particolari, era stata poi affrettata su esplicita richiesta del governo statunitense, che aveva la necessità di ottenere quanto prima l’estradizione di Ovidio Guzmán Lopez. Così, una speciale unità antidroga dell’esercito messicano si era spostata da Città del Messico a Culiacan per catturare il criminale. A Culiacan, però, le autorità erano ancora in procinto di ottenere un mandato di perquisizione quando i nuovi arrivati hanno dato inizio alla operazione. Da qui lo scatenarsi incontrollato della guerriglia e i successivi problemi.
Il cartello ha inviato convogli di uomini armati in diverse installazioni militari in città per attaccare i soldati e le loro famiglie. In un blocco di alloggi militari, un sergente è riuscito ad allontanare bambini che stavano giocando fuori casa e a metterli in salvo, ma è stato preso in ostaggio. Complessivamente, secondo il segretario della Difesa Nazionale, Luis Cresencio Sandoval, due ufficiali e nove soldati sono stati presi in ostaggio dal cartello. La maggior parte di loro facevano parte della sicurezza di due convogli diretti a una raffineria della città. Sandoval ha riferito che erano almeno 150 gli uomini armati del cartello – anche pesantemente con lanciarazzi e lanciagranate -, divisi su 30 veicoli. Si è arrivati così a una sorta di accordo. Una volta rilasciato Ovidio Guzmán Lopez, anche tutto il personale militare è stato rilasciato e la squadra che aveva catturato Guzmán Lopez è rientrata in caserma.
Non è chiaro chi ha negoziato con il cartello durante lo scontro. Sandoval ha detto che al leader della squadra che aveva catturato Guzmán Lopez erano stati offerti 3 milioni di dollari per lasciarlo andare, ma l’ufficiale ha rifiutato. Così il cartello ha promesso la morte a lui e alla sua famiglia. E non ci è voluto molto perché almeno una parte della vendetta venisse portata a termine dai delinquenti.
Un’altra brutta pagina della recente storia messicana.