L’Inno, il Tricolore, la Patria: simboli di unità di un popolo fiero

Giorgia Meloni in persona chiude l’ennesima (ed evitabile) polemica sul gender. Per alcuni l’Inno non sarebbe “inclusivo”, ma in realtà racchiude i sentimenti di intere generazioni di italiani

L’Inno di Mameli è il canto di un popolo che ha lottato per la sua libertà e la sua unità. Ogni parola racchiude la nostra storia, il nostro orgoglio, il nostro senso di appartenenza. “Fratelli d’Italia” è un richiamo all’identità e alla fratellanza di una Nazione che guarda avanti con fierezza. Viva l’Italia, viva il nostro Inno. Sempre”. Game. Set. Match. È proprio il presidente del Consiglio in persona, Giorgia Meloni, a chiudere un’inutile polemica scoppiata via social sul nostro inno nazionale, scritto da Goffredo Mameli durante l’epoca risorgimentale, dal significato così forte e pregnante da riuscire a rimanere nel cuore degli italiani per circa un secolo, durante l’epoca della monarchia che scelse la Marcia reale come inno del Regno d’Italia. Un’attesa durata fino al 1946, quando il Canto degli Italiani divenne l’Inno ufficiale della nostra Repubblica.

La polemica: Mameli sarebbe “poco inclusivo”

Una polemica iniziata con le parole della cantante Francamente, che ha raccontato di essere stata invitata a cantare l’Inno prima di un evento sportivo e di aver avuto qualche titubanza ad accettare perché “poco inclusivo”: definisce l’Inno, ironicamente, “campione di inclusività” a causa delle sue parole di apertura, “Fratelli d’Italia”. “La prima che ho pensato è ‘bene, accetto ma cambio il testo per renderlo più inclusivo’. Poi ho scoperto che però questo sarebbe stato vilipendio alla bandiera”. Per non tirarla per le lunghe, nel suo video di spiegazioni la cantante racconta di aver scelto di cantare l’Inno ma “da donna queer e vestendo determinati colori per dare un messaggio molto chiaro: le persone queer esistono, le persone transessuali esistono, le persone non binarie esistono”. E poi la solita litania sulla (presunta) inclusività: “Tante sono le persone stanche di un’Italia razzista, di un’Italia omofoba, di un’Italia che si riconosce ormai in un tricolore anacronistico”.

Inno e Tricolore rappresentano due secoli di italianità

Diciamo, a questo punto, che non storpiare il testo perfetto di Mameli è già stata una conquista, anche perché sarebbe stato un po’ imbarazzante ascoltare le varie schwa che sarebbero state inserite mandando la metrica in tilt. Ma, parlando seriamente, come può essere anacronistico un Tricolore che racchiude in sé le bellezze, tutte, della nostra Nazione? Un Tricolore al quale sono stati affibbiati diversi significati (non c’è uno giusto, in realtà). Un Tricolore che nasce per unire tutti quei popoli e quegli Stati che hanno frammentato la nostra Nazione per troppo tempo, con il benestare delle potenze straniere che si spartivano territori e ricchezze. Già quell’atto eroico, risorgimentale, romantico, era un gesto di inclusività.

Mameli riuscì a trascrivere a pieno quel sentimento, facendo un resoconto di quella che è stata la millenaria storia italiana, che tornava ad essere una sola cosa dopo più di mille anni. Fino ad arrivare alla Vittoria, che è schiava di Roma: ergo l’Italia, che è più forte di ogni tentativo di assoggettamento. E quei ‘poropò’, non scritturati ma aggiunti dagli italiani stessi prima del cambio di tonalità, quasi come se fosse impossibile trattenere la gioia nel cantare quel testo e nell’intonare quella melodia. E cantano assieme gli italiani, uniti, qualunque siano il loro credo politico, la loro religione, la squadra del cuore che tifano, l’idea di Patria che hanno, il lavoro che fanno e, non da ultimo, il loro orientamento sessuale. È questa la forza della bandiera, è questa la potenza dell’Inno: includere tutti, sposare a pieno le diversità, le unicità di 60 milioni di persone, di intere generazioni da quasi due secoli. È questa la virtù di una Nazione, di una Patria, che da madre non lascia indietro nessuno dei suoi figli.

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