“La priorità è portare a casa la pelle. La guerra ti insegna il valore della vita e nessun reportage vale quanto la tua vita”. 39 i paesi visitati, teatri di crisi o guerre. L’ultimo il Libano, lacerato da un nuovo conflitto, da cui è tornato da pochi giorni. “Ricorda, l’odore dei posti in cui vai è la cosa che porterai dietro. Registrarli nella mente e saperli raccontare è il segreto per un buon lavoro”. Francesco Semprini è uno dei più accreditati reporter di guerra, corrispondente negli Stati Uniti per La Stampa. “La mia prima elezione presidenziale è stata per Bush, ma questa è la più strana di tutte”. La paura come tabù da esorcizzare, spettro da ironizzare, forse per cerarle un rispetto sacrale. “La paura ti tiene vivo. Un mio zio militare diceva sempre che il primo coglione a morire è colui che non ha paura”.
Sei appena tornato da un reportage in Libano.
Si, sono stato due settimane, principalmente a Beirut e poi sono andato giù al sud dove ci sono gli scontri, dove c’è la parte di guerra un po’ più viva. Sono stato a Tiro, visitando le zone attorno alla città.
Come si snoda la strategia degli israeliani in quella zona?
Mi sembra chiaro che la strategia degli israeliani sia, dopo aver decapitato la leadership di Hezbollah in maniera molto efficace, anche grazie alle infiltrazioni di spie tra i ranghi di Hezbollah, di impedire che i canali di afflusso delle armi che vanno alla resistenza al sud continuino a funzionare. Ora Israele va a colpire tutti i cachet di armi, tutte le riserve, tutti i magazzini di armi che si trovano a Beirut o che si trovano nelle zone di accumulo, come la valle della Beqa, al confine con la Siria. La strategia è quella di fare in modo che la resistenza che c’è al sud, ed è una resistenza molto forte, che già conta su arsenali importanti, soprattutto missilistici, non possa essere rifornita dalle altre parti del paese. L’obiettivo è quello di atrofizzare la resistenza al sud in modo tale che, al momento di una operazione di terra, trovino un nemico più flessibile, più malleabile, comunque più penetrabile rispetto a quello di prima.
È vero, come sostengono diversi analisti, che la strategia di fondo di Israele sia quella di sollecitare un sovvertimento del regime politico all’interno del Libano?
Questo è chiaro. Hezbollah non è solamente un movimento militare, è soprattutto un movimento politico che da più di 10 anni ha preso il controllo del paese. Giocoforza, anche l’aumento della componente sciita nel paese, ha aumentato il controllo di Hezbollah sul Libano. Ciò avviene perché Hezbollah è un movimento che fondamentalmente funziona come una sorta di welfare, di sistema sociale, quindi laddove lo stato fallisce, subentrano loro. Faccio un esempio. Nel sud mi è capitato di vedere, soprattutto nel 2015 e nel 2017, famiglie che avevano problemi molto semplici, come l’acqua che non funzionava nelle abitazioni. Ma arrivavano loro e mandavano la persona che aggiusta l’acquedotto, che ti aggiusta le tubature e ti fa arrivare l’acqua. È un sistema che alcuni definiscono “mafioso”, però è un sistema che laddove lo Stato è latente, loro suppliscono all’assenza dello Stato. In questo modo che cosa fai? Crei una rete di fiducia e quindi crei anche un consolidamento nella figura stessa del partito di Dio. Tutto questo poi si traduce in consenso che poi in Parlamento si proietta in una maggioranza solidissima che controlla il paese.
Hezbollah per un periodo è stato indirizzo di encomi da parte dei media occidentali…
Ho conosciuto Hezbollah e i suoi capi ai tempi della guerra dell’Isis, erano una realtà molto particolare. Tutti i villaggi attaccati dallo Stato islamico sono stati difesi dagli Hezbollah, altrimenti sarebbero stati rasi al suolo dall’Isis. Quindi Hezbollah ha avuto una funzione “intersettaria”, cioè sono stati capaci di difendere anche i cristiani. La lotta all’Isis si è tradotta in un grande successo, in una grande affermazione di Hezbollah come figura a tutela della sovranità del Libano. Però la guerra è costata tanto a livello economico, indebolendo molto il tessuto sociale del paese. Inoltre, il Libano ha avuto il grande problema dell’afflusso di profughi siriani che si sono stanziato soprattutto nel libano del sud controllato da Hezbollah. Tra il 2018 e il 2020, anche a causa di ciò, il movimento inizia a corrompersi, smarrendo la sua proverbiale integrità. E da lì sono iniziati nuovi problemi…
Perché Israele ha attaccato le basi UNIFIL?
Credo che per Israele UNIFIL rappresenti un intralcio al loro piano. È una missione nata nel 1978. Il problema della missione UNIFIL è che il mandato della risoluzione che è stata approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU era tutto sommato buono. Il problema è che è stata incorporata sotto l’ombrello nel chapter six della Carta delle Nazioni Unite. Chapter six, a differenza del chapter Seven, non conferisce reinforcing. Cioè le forze UNIFIL se individuano un cachet di armi di Hezbollah, non possono intervenire direttamente, cioè non possono andare lì e disarmarli devono chiamare l’esercito libanese. L’esercito libanese deve intervenire, loro fanno un po’ da puntatori, noi vi diciamo dove è l’obiettivo e voi andate. Il problema però, è che l’esercito libanese non ha le capacità e le forze per farlo. A volte si fa intimidire dagli Hezbollah, perché ovviamente Hezbollah controlla il sud, limitando le azioni dei convogli militari nell’area. Ma soprattutto c’è problema, proprio del tessuto sociale e politico libanese, cioè che l’esercito libanese ha vissuto quello che ha vissuto tutto il resto della società libanese, cioè una grande crescita della componente sciita. È naturale ritenere difficile che un militare sciita vada a disarmare un Hezbollah. Il vero vulnus della missione UNIFIL è che possiede un mandato chiaro, ma i militari, tra cui gli italiani, non lo possono implementare, applicare in maniera diretta.
Quindi la cosa migliore sarebbe, come sostiene Israele, è che il contingente ONU se ne vada…
Israele vuole che il contingente se ne vada per due motivi.
Il primo è avere mano libera, tant’è vero che tutti gli attacchi che hanno effettuati sulle basi, sono tutti attacchi fatti a strutture di sorveglianza, cioè la torretta di controllo e le telecamere. Perché vogliono rendere cieca la missione. Non ve ne andate? Io vi rendo ciechi così voi non potete testimoniare le cose che facciamo noi.
Il secondo elemento, questo me l’hanno riportato diverse fonti, è che loro vorrebbero sostituire UNIFIL con una forza di pace che non sia sotto il cappello dell’Onu, ma che risponda a singoli governi di paesi alleati. Un po’ come il contingente del 1983 che era guida americana e francese, dove ognuno risponde al governo del paese alleato, dove il governo del paese alleato può fare pressioni sul governo di Beirut, dove loro possono esercitare maggiore ingerenza sull’operato della missione stessa. Il piano che hanno presentato qualche giorno fa agli americani prevede più o meno questo, per di più con l’opzione di poter operare liberamente come forza di disarmo. Ed è una cosa impensabile che gli israeliani, con un pieno mandato internazionale, possano disarmare gli Hezbollah. Sarebbe una carneficina. Difficilmente lo otterranno perché è un principio cardine che va contro la risoluzione 1701.
In potenza, quella in Libano può trasformarsi in una guerra lunga?
La resistenza nel sud del Libano è ancora molto forte. Hezbollah ha ancora 150.000 tra missili e razzi. Per di più stanno ricevendo droni dall’Iran, come quello che è esploso vicino la casa di Netanyahu. L’organizzazione ha subito duri colpi, perdendo alcuni dei suoi capi, ma non c’è cosa peggiore di una scheggia impazzita che non ha un comando. Perché Hezbollah si riforma, si riordina in gruppuscoli che operano in maniera schizofrenica.
Israele non è ancora in grado di fare un’operazione di terra vera, cioè di entrare in maniera massiccia perché subirebbe un sacco di perdite. Quindi stanno cercando di fare terra bruciata intorno agli Hezbollah. Adesso hanno alzato la tensione su Tiro. Io sono stato a Tiro e ho visto che hanno bombardato tutta la zona attorno la città. Lì sono rimasti solo gli Hezbollah e credo che assisteremo nel giro di una settimana a un bombardamento diretto sulla città, molto pesante. Sarebbe un massacro ed un disastro umanitario poiché Tiro è una della più grandi città del sud e sede di uno dei siti Unesco più importanti del Medio Oriente. Ed io credo che, sotto le rovine romane, Hezbollah nascondi qualcosa. Non ce le hanno mai fatte fotografare.
Fino a dove si spingerà Israele in questa strategia?
Israele credo che continuerà la sua strategia fino al momento in cui non saprà chi è il prossimo Presidente degli Stati Uniti. Il più grande errore che hanno fatto i democratici è stato quello di far fare un passo indietro in corsa a Joe Biden. Non è solo un fatto di politica interna, ma soprattutto di politica internazionale. Con quella mossa hanno delegittimato un presidente che è il Presidente degli Stati Uniti, che era l’unica potenza al mondo che poteva tenere a freno Israele. Di fronte al Presidente delegittimato che è un’anatra zoppa, una leme duck, fondamentalmente cosa succede? Succede che tutti si sentono in dovere di fare quello che vogliono…
Tu sei corrispondente per La Stampa negli Stati Uniti, a proposito delle presidenziali del prossimo mese, come le vedi?
Sono le elezioni più strane e più incerte che io abbia visto, pur avendone seguite 7.
Per due motivi. La politica americana si è molto radicalizzata, polarizzata e l’America stessa, i democratici stessi hanno dimostrato che di fronte un candidato, privo di fatto di un partito, cioè Trump, hanno dovuto opporre un personaggio che fosse all’altezza di essere “personaggio” tanto quanto Trump. Quindi hanno preso l’opposto Trump, una donna, di colore, supporter dei diritti civili, dell’aborto, a mio avviso dai contenuti molto deboli, che però a livello di immagine può essere un contraltare importante rispetto a quel Biden naturalmente bollito e incapace di contrapporsi a Trump.
Questo in un primo momento ha riequilibrato le sorti della campagna, ma è stata secondo me una sbornia estiva a cui non è seguita una dimostrazione di contenuti sostanziale. Tant’è vero che i sondaggi adesso dimostrano come si siano riequilibrate le cose, con una differenza fondamentale. Che chi ricorda il 2016, ricorda come molti votassero Trump senza dirlo ed oggi questo fenomeno è più diffuso. Quindi credo che abbia molte più possibilità al momento Trump, a meno che la Harris non tiri fuori qualche asso dalla manica. Poi c’è un motivo legato alla politica internazionale. Quando c’è un’America incerta, quando non hai una leadership forte, quando non hai un punto di riferimento, che sia di destra o di sinistra, quando nessuno ti fa capire quale può essere l’idea di politica estera dell’uno e dell’altro candidato, è logico che tutti ne traggano profitto.