Lo stile fantasy delle “inchieste” di Report…

Latina, novembre 2016, il tribunale richiede attraverso la giunta per autorizzazioni della Camera dei Deputati l’arresto del deputato Maietta, arresto richiesto per degli appalti pilotati.

Pasquale Maietta all’epoca era deputato di Fratelli d’Italia, si autosospende su richiesta dei vertici del partito, non verrà più candidato, non farà più parte di Fratelli d’Italia da allora.

Roma, 8 dicembre 2020, la trasmissione Report manda in onda una puntata che, partendo proprio dal caso Maietta, dovrebbe raccontare di come il partito di Giorgia Meloni sia il partito più soggetto a infiltrazioni mafiose e malavitose.

Già la premessa dovrebbe essere sufficiente a capire come sia un pretesto per attaccare un partito ed un leader con il peccato originale di essere di destra, cosa non nuova a Report, ma la visione della trasmissione ha ingenerato un sentimento rabbioso verso quello che si dichiara giornalismo d’inchiesta e si rivela come inquisizione di parte.

Ma atteniamoci ai fatti, nudi e crudi, per arrivare alle conclusioni purtroppo fin troppo ovvie.

Di Maietta abbiamo già detto, anche se occorre precisare che fino ad allora era un ex parlamentare del PdL, un imprenditore stimato e senza alcuna pendenza nota. Lo stesso dicasi per gli altri nomi citati nel servizio, tutti immediatamente espulsi dal partito, non vale neanche la pena soffermarsi su questi aspetti facilmente rilevabili.

Quello però che la trasmissione tenta di fare ha del surreale, che potrebbe far sorridere se non rivelasse un evidente intento: lanciare dubbi e denigrare il partito di Giorgia Meloni.

Si parte dai tagli alle risposte della stessa Meloni, tagli fatti ad arte, da cui viene tolto l’essenziale per lasciare ciò che potrebbe rendere una sensazione di imbarazzo da parte sua. Fortuna vuole che esista e circoli la versione integrale di quell’intervista, da cui si capisce come il castello crollerebbe al primo istante se la trasmettessero integralmente.

Si va poi di nuovo a Maietta, il fulcro di tutto il teorema della trasmissione, di cui si descrivono (anche in modo sommario) i procedimenti in corso, con l’evidente scopo di creare artatamente un sospetto di legame tra le sue potenziali malefatte e FDI. Fatto è che le attività per cui Maietta è sotto processo non riconducono in alcun modo a Fratelli d’Italia, ma questo è un particolare non rilevante per chi si professa giornalista d’inchiesta

Nel corso del servizio si cita anche subdolamente il nome del Sen. Calandrini, senza però specificare che tale nome non è legato a nessuna attività da parte di Calandrini stesso, ma a voti per lui presuntamente richiesti da Maietta, tanto che agli atti risulta che il Calandrini fosse inconsapevole del tutto, ma l’importante era buttare là il nome e generare reazioni e dubbi.

E dopo Maietta cosa inventarsi? Non bastano pochi minuti di pseudo giornalismo per creare l’ipotesi di sistema.

Ebbene allora ecco che con un triplo salto mortale avvitato come fosse antani, il buon Ranucci tira fuori Gelli e Ligresti dal cilindro per arrivare a Casa Pound…così, come nulla fosse!

Dopo le scontate dissertazioni e indicazioni sulla nefandezza dei suoi componenti il simpatico conduttore decide che il legame con Fratelli d’Italia è assodato. La prova? Alcuni dirigenti locali del partito della Meloni hanno partecipato a manifestazioni o incontri con Casa Pound! Effettivamente uno scandalo da Pulitzer.

Terminato il capitolo dedicato alle tartarughe nere, sempre seguendo il filo narrativo del fantasy, il nostro Ranucci dove va? Ma da Forza Nuova! E che ci dice? Che la loro sede è di proprietà della Fondazione Alleanza Nazionale, fondazione di cui fa parte Fratelli d’Italia, quindi per potere transitivo Fratelli d’Italia se la fa con Forza Nuova. Anche in questo caso il grande “inchiestologo” omette di dire che la sede fu occupata anni fa e che attualmente Forza Nuova è sotto sfratto, ma come sempre son particolari di poco conto.

Insomma, un servizio creato ad arte, che racconta verità parziali e non racconta quel che non fa comodo.

Ma si sa: le inchieste di Report finiscono dove iniziano le verità scomode.

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