Lo strabismo del centro che guarda a sinistra

Le fusioni a freddo in politica non esistono oppure, nella migliore delle ipotesi, hanno i giorni contati. Il precedente della “Margherita” confluita nel Pd serve da monito. C’è una sola inconfutabile realtà: il Centro non può avere spazio in una coalizione che rappresenta in modo scientifico la sinistra radicale e massimalista nel nostro Paese. Se non un ruolo del tutto marginale e ornamentale. Insomma, per dirla con una metafora calcistica, il centro nella sinistra gioca in trasferta. In parole povere, ecco perché i cattolici che hanno scelto la sinistra non escono dal Pd perché ritengono il principale partito della sinistra italiana la casa più naturale per continuare la loro battaglia politica.

Una battaglia che, al di là della propaganda e della ipocrisia, è alquanto complicata e complessa perché la cifra politica dell’attuale Pd, come tutti sanno e anche coerentemente con il progetto illustrato quasi due anni dalla segretaria Elly Schlein, è ispirata a quella di una sinistra radicale, massimalista e libertaria. Ed è anche per questi motivi, semplici ma essenziali ed oggettivi, che la praticabilità politica, culturale e programmatica di un potenziale centro non è così semplice all’interno di quel partito per i cattolici democratici, popolari e sociali. Cioè per quella cultura politica che ha come obiettivo la costruzione di una “politica di centro” più che non un partito di centro. E il retro pensiero, com’è ormai evidente a quasi tutti – sempreché non ci sia uno scossone politico forte che punta direttamente alla scissione del Pd e, di conseguenza, ad una spaccatura del partito liquidando il progetto iniziale dello stesso Pd – rischia di limitarsi ad una maggior presenza negli organigrammi di potere. Tradotto per i non addetti ai lavori, più seggi parlamentari alle prossime elezioni politiche. Atteggiamento, questo, che ha del resto caratterizzato sino ad oggi il comportamento concreto di quella corrente all’interno del Pd che si è riunita a Milano sabato scorso.

Ma, al di là di questa persino banale riflessione, c’è un dato che non può non essere sottovalutato proprio dopo gli incontri di Milano e di Orvieto e che interpella direttamente il futuro e la prospettiva di un Centro riformista, democratico e di governo. E, su questo versante, occorre essere estremamente chiari e trasparenti. E al di là di qualsiasi polemica politica. Di partito o di schieramento. Detto con parole più semplici, non può decollare una vera e propria “politica di centro” – come la chiamava la miglior cultura democratico cristiana – all’interno di un contenitore che si caratterizza sempre di più come un soggetto politico autenticamente di sinistra.

Ecco perché, e senza alcuna forzatura, è altrettanto evidente che chi vuole oggi, e nell’attuale contesto politico italiano, declinare una efficace e credibile “politica di centro” – cioè un progetto politico centrista, riformista, democratico e di governo – non può che guardare altrove. Al di là e al di fuori delle varie “benedizioni” laiche ed ecclesiastiche che sono arrivate dopo la duplice iniziativa di Milano e di Orvieto, probabilmente non è da quelle parti che può realmente decollare quello che è stato fortemente evidenziato e richiamato su molti organi di informazione. E cioè, un progetto riconducibile ad un progetto politico centrista e di governo. Perché prima o poi, al di là della propaganda e della stessa ipocrisia, i nodi vengono al pettine. E il Centro non può ovviamente avere spazio in una coalizione che rappresenta in modo scientifico la sinistra radicale e massimalista nel nostro Paese. Se non un ruolo del tutto marginale e ornamentale.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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