E così è caduta anche l’ignobile tesi di coloro che sostenevano che Desirée si fosse “venduta” per avere in cambio la droga. Desirée Mariottini era vergine quando è stata violentata. Lo hanno dichiarato in aula gli esperti che effettuarono l’autopsia sul corpo della 16enne drogata, stuprata e uccisa da 4 pusher nigeriani in uno stabile abbandonato a Cisterna Latina nell’ ottobre del 2018. Un dettaglio che aggiunge, se mai fosse possibile, orrore ad una vicenda inconcepibile di abbandono, dolorosa anche da ricordare.
Poco più di un anno fa, in un quartiere dimenticato da Dio, veniva ritrovato il corpo senza vita di un’adolescente: seminuda, distesa supina su uno sporco materasso all’interno di uno stabile divenuto locale di spaccio selvaggio e incontrastato.
Con una morsa allo stomaco ricordiamo le sue ultime ore di vita: qualcuno le aveva dato della droga, molta. Stava male, aveva bisogno di un medico. Era stata violentata da un gruppo di bestie, uomini molto più grandi di lei, che avevano approfittato del fatto che fosse praticamente incosciente. Nessuno chiama l’ambulanza che le avrebbe potuto salvare la vita. Neppure quel piccolo gesto di misericordia. E così, la mattina dopo, il suo corpo di bambina viene rinvenuto nello stabile abbandonato di via dei Lucani.
La notizia della sua morte fa scalpore, ci mette tutti davanti alle nostre responsabilità: quelle di non aver sputo difendere e custodire il bene più prezioso, le giovani vite dei nostri figli. Ma incredibilmente c’è chi continua ad infierire sul corpo di quella bambina: sono i politici democratici e progressisti, gli intellettuali illuminati, che si impegnarono fin da subito in accorati appelli a coltivare “un senso di umanità”, difendendo a spada tratta quei mostri che si erano accaniti su di lei in modo brutale ed animalesco. Lo stupro e l’omicidio di Desirèe vengono quasi rimossi nell’analisi dei fatti. La sua morte viene semmai raccontata come un effetto connesso allo sballo giovanile, roba che non scandalizza le coscienze, nemmeno se c’è di mezzo il corpo straziato di una bambina.
Una morte più digeribile politicamente, che vorrebbe mettere al riparo dalla nostra rabbia un manipolo di delinquenti fortemente voluti da una politica di accoglienza selvaggia che risponde solo ed esclusivamente a ragioni di profitto e abbandona al loro destino i più deboli, le periferie, dove agiscono incontrastati delinquenti e spacciatori, all’occorrenza stupratori si, ma quasi costretti ad esserlo se, loro malgrado, si trovano a dover cedere ai loro istinti più barbari di fronte ad una giovane “tossica”.
Guai a dire le cose come stanno. Guai a dire che un branco di uomini di origine africana e araba, occupanti abusivi di una palazzina che sarebbe dovuta essere sgomberata da tempo, hanno stuprato in branco e drogato fino a farla morire una ragazzina di sedici anni. Meglio archiviare il tutto come la brutta disavventura di una “tossica”.
No, non ve lo permetteremo e quel freddo esame autoptico ci restituisce un’immagine diversa di Desirèe, nata e cresciuta in un comune della periferia di Roma, una città abbandonata a se stessa. Nessun cinema, tanti palazzi grigi, molte fabbriche. Quel genere di posto dove i ragazzi come lei vivono con la speranza di scappare, di andar via, magari a Roma, che dista una manciata di chilometri. I suoi erano separati, la mamma di appena dieci anni più grande di lei si era rifatta una vita, un’altra bimba da accudire, ed il cruccio di non saper gestire il repentino cambiamento della figlia maggiore, sempre più inquieta, sempre più bisognosa di attenzioni.
Ritroviamo qualcosa di lei nel suo profilo social, un diario dove custodiva le sue piccole e grandi inquietudini. Ci sorride con l’apparecchio ai denti e quegli atteggiamenti un po’ ribelli neutralizzati da uno sguardo dolce e inquieto. L’ingenua vanità di una ragazzina con un filo di rossetto, schiacciata dall’indifferenza di una società che non è riuscita ancora a guardare in faccia la sua morte assurda e che ha persino avuto il coraggio di etichettarla come tossica.
Ritroviamo qualcosa di lei nel suo profilo social, un diario dove custodiva le sue piccole e grandi inquietudini. Ci sorride con l’apparecchio ai denti e quegli atteggiamenti un po’ ribelli neutralizzati da uno sguardo dolce e inquieto. L’ingenua vanità di una ragazzina con un filo di rossetto, schiacciata dall’indifferenza di una società che non è riuscita ancora a guardare in faccia la sua morte assurda e che ha persino avuto il coraggio di etichettarla come tossica.
Ma Desirèe era solo una ragazzina fragile e nessuno, da solo, ha voluto o semplicemente potuto proteggerla. E così è inciampata nell’orrore, dove ha perso prima la sua spensieratezza e poi la verginità e la vita.
È passato più di un anno dalla sua morte, ma non è cambiato molto. Si continua a parlare di un progetto di riqualificazione di via dei Lucani e si sono tenuti più incontri tra i cittadini e l’amministrazione, anche alla presenza della sindaca Virginia Raggi.
Giorgia Meloni, che fin dal ritrovamento del corpo della ragazza ha chiesto con forza “giustizia per Desirèe” ieri in un post su facebook ha stigmatizzato la vergogna di coloro che hanno continuato ad infierire con la diffamazione su quei poveri resti: “Chi ha infangato meschinamente la memoria di questa giovane, pur di nascondere le scomode realtà legate all’immigrazione clandestina, chieda scusa. Noi continueremo a chiedere giustizia per Desirée”.
Desirée, nonostante le foto ribelli di facebook non voleva perdere la sua dolcezza. Ce lo ha detto un esame autoptico e ce lo aveva ripetuto con forza anche la sua famiglia.
Lei adesso è morta, non possiamo fare più niente per lei. Ma se ci pensiamo bene, anche senza facebook, un ultimo messaggio ce lo ha lasciato: siamo morti con lei.
Un Paese che non ha pietà neppure per le anime fragili, un Paese che non sa occuparsi neppure dei propri figli è morto, e non lo sa.
Lei adesso è morta, non possiamo fare più niente per lei. Ma se ci pensiamo bene, anche senza facebook, un ultimo messaggio ce lo ha lasciato: siamo morti con lei.
Un Paese che non ha pietà neppure per le anime fragili, un Paese che non sa occuparsi neppure dei propri figli è morto, e non lo sa.