Ammonterebbe a 210 miliari di euro, più o meno, il valore dei beni russi sotto confisca dell’Unione Europea: l’apparato, penserebbe di usare il 10% di queste risorse per il piano di ricostruzione dell’Ucraina, mentre il 90% sarà destinato alla fornitura degli armamenti.
La decisione non è ancora certa, ma un piano d’azione già c’è, nonostante i dibattiti che nel corso del tempo hanno portato alla discussione sull’impiego di questo tesoro immobilizzato. Nonostante il piano presentato a Marzo dalla commissione europea, c’è chi, come la BCE, pensa che l’utilizzo di questi censi possa scoraggiare gli investimenti stranieri di terze parti.
Di certo, l’utilizzo di questi materiali a sfondo finanziario, dovrà essere discusso molto bene da tutti gli Stati membri, anche considerando che la Russia ha già minacciato di voler presentare azioni legali contro l’uso di questi beni ora gestiti da Euroclear, società internazionale con sede in Belgio e che si occupa del deposito di fondi.
Mentre si valutano i rischi bisogna tenere a mente il periodo storico in cui stiamo vivendo, considerando anche il recente provvedimento russo sulle armi atomiche, il quale potrebbe creare non poche complicazioni, certamente una sorta di ricatto che non si staglia soltanto al confine ucraino, bensì fortemente minaccioso anche per il resto delle democrazie europee e nordamericane in generale.
Studiare attentamente un metodo per la ricostruzione post-bellica del Granaio d’Europa, potrebbe evitare non soltanto l’escalation, ma anche il plausibile crollo dei mercati previsto dalla Banca centrale europea. D’altro canto, sarebbe opportuno che i vari organismi istituzionali collaborassero ulteriormente per trovare una soluzione che eviti un rovesciamento di fronte rischioso a livello principalmente continentale.
Sembra che attualmente gli asset gestiti da Euroclear, che peraltro è una fondazione creata dalla celebre JP Morgan, siano immobilizzati, di conseguenza l’UE può ancora considerare modifiche sul piano strategico per l’utilizzo di questi fondi.
Peraltro, secondo Oleg Dunda, deputato ucraino, si potrebbe considerare un piano differente per l’utilizzo dei beni, di seguito la sua spiegazione: “Reinvestimento di una parte significativa degli asset congelati in uno strumento finanziario a basso rischio, ossia in bond di difesa a lungo termine Ue che maturino tra trent’anni”.
Nel frattempo, Maria Zakharova, nonché direttore del dipartimento stampa del Ministero degli esteri russo, ha dichiarato che: “I beni russi dovranno rimanere intatti, o ci sarà una risposta ferma ai furti dell’Occidente”. Quest’ultimo non è di certo un invito piacevole, anche se gli stati ponentini hanno dimostrato di non temere affatto le minacce russe: bisogna riflettere che una remissività può giocare a sfavore, così come una decisione troppo affrettata. Un giusto equilibrio tra i due pesi può soltanto avvantaggiare gli stati dell’ovest.
Una situazione piuttosto particolare, molto delicata nel suo genere e da affrontare con la massima attenzione: in attesa di eventuali sviluppi, uno sguardo verso gli altri conflitti e lo studio delle relazioni tra i Brics e le loro intese.
In conclusione, un primo accordo tra i 27 stati membri già c’è, tuttavia manca ancora la conferma dei Ministri nell’UE.