Pur con tutte le critiche che è doveroso fare verso il metodo e il merito riguardanti l’operazione mirata a far rieleggere Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione UE, dobbiamo dare atto a questo esecutivo europeo di essere stato coerente perlomeno circa il dossier Cina e la concorrenza commerciale sleale del Dragone, dalla visita in Europa del leader cinese Xi Jinping ad oggi. All’inizio di maggio Xi ha incontrato a Parigi sia il presidente francese Emmanuel Macron che la von der Leyen, e proprio quest’ultima non ha nascosto il disappunto del Vecchio Continente per le pratiche commerciali scorrette della Cina.
Adesso, passando dalle parole ai fatti, vi è un nuovo tassello della battaglia fra Bruxelles e Pechino con l’imposizione di dazi da parte della Unione Europea sull’importazione di veicoli elettrici made in China. Si tratta di dazi provvisori compensativi, già operativi e applicati ai principali produttori cinesi di auto elettriche. Saranno del 17,4% per Byd, del 19,9% per Geely, del 37,6% per Saic. La Commissione europea ha avviato un’indagine lo scorso 4 ottobre, destinata a durare per 13 mesi, per andare a fondo su quelle aziende produttrici cinesi che beneficiano di enormi sussidi da parte del governo di Pechino e grazie a queste iper-sovvenzioni possono permettersi di esportare in Europa con prezzi bassi, mantenuti tali in maniera evidentemente artificiale. Ciò arreca un indiscutibile danno all’industria automobilistica europea, sia per quanto riguarda i veicoli cosiddetti termici che quelli a batteria.
Alcune aziende cinesi dell’auto elettrica stanno collaborando con l’inchiesta promossa dalla Commissione UE, altre, invece no, perciò Bruxelles stabilisce in media dei dazi al 20,8% per chi viene incontro ai problemi posti dalla UE, e al 37,6% per le società che non intendono cooperare. I dazi attualmente operativi sono provvisori e dovranno essere confermati entro fine ottobre da una decisione degli Stati membri, e in caso di approvazione, essi diverranno definitivi per un periodo di 5 anni. I dazi sono uno strumento per rimediare ad una situazione ingiusta, ma non rappresentano senz’altro una soluzione complessiva, come ha ricordato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, il quale ha inoltre fatto presente come sia necessario individuare una via negoziale nell’ambito della Organizzazione mondiale del commercio, (WTO).
Dopo anni di globalizzazione non solo pro-cinese, perché anche l’Occidente ne ha tratto benefici, ma dalla quale sicuramente la Repubblica popolare ha ottenuto vantaggi smisurati ed immeritati, occorre stabilire in seno al WTO un’intesa strutturale che, come afferma Urso, sia in grado di instaurare un mercato libero, ma equo, in cui Cina e simili si trovino costretti a limitare i comportamenti arbitrari. Il primo a porre il problema della slealtà commerciale cinese è stato Donald Trump, durante il suo primo mandato presidenziale, e, insieme al leader americano, le forze europee di destra come Fratelli d’Italia.
Anni fa, anche dagli attuali vertici UE, Trump e le destre del Vecchio Continente venivano sbrigativamente liquidati come sovranisti scriteriati e fautori di un protezionismo antistorico. Oggi, Ursula von der Leyen e, quindi, più o meno la stessa Europa che tempo addietro condannava alcuni “nazionalisti” occidentali, convengono anche loro sulla necessità di reagire alle scorrettezze cinesi. Meglio tardi che mai potremmo dire, anche perché, se non si facesse nulla, l’Europa e la sua industria verrebbero spazzate via prima e peggio degli Stati Uniti d’America, che mantengono comunque diversi anticorpi. Si spera che con la presa di coscienza europea circa le insidie provenienti dalla Cina, si faccia largo, anche con una rielezione di Ursula von der Leyen, una ridefinizione del Green Deal.
La difesa del pianeta non può passare attraverso una pseudo-religione new age piena di dogmi e direttive irrazionali. Se si pretende che più nessuna auto a combustione venga prodotta sul suolo europeo, ci si consegna già alla Cina, dazi o meno, perché le vetture elettriche costruite dalle industrie UE avrebbero comunque bisogno di forti importazioni dalla Repubblica popolare, uno dei più grandi produttori di batterie al mondo. Sarebbe più saggio lasciar convivere nel mercato europeo proposte, diciamo così, termiche e proposte elettriche. La cosiddetta maggioranza Ursula, voluta dai governi francese e tedesco per escludere i conservatori di ECR, sembrava avere nell’immediato la strada spianata, ma si sta rivelando, ogni giorno che passa, sempre più fragile ed ora, oltre a PPE, socialisti e liberali di Renew Europe, pare che ci si appelli anche ai Verdi. Se questi ultimi dovessero aggiungersi, ma dovrebbe esserci la contrarietà dei popolari, non è possibile attendersi grandi svolte positive in merito al Green Deal.
Tuttavia, le maggioranze che si vengono a formare nel Parlamento europeo sono diverse da quelle nazionali dei vari Paesi UE. In merito alla elezione della o del presidente della Commissione europea si forma un certo tipo di maggioranza, che però può mutare in base agli argomenti oggetto di discussione all’interno dell’Europarlamento. Considerato l’esito delle elezioni europee, che ha certificato l’avanzata di popolari e destre conservatrici, e la sconfitta di socialisti ed ecologisti, oltre alla eventuale riconferma di Ursula von der Leyen e dopo il realismo dimostrato dall’esecutivo UE nel commercio internazionale, a Strasburgo vi possono essere molte virate a destra su più tematiche, come ha evidenziato la premier Giorgia Meloni.