Considerato uno dei grandi capi di Cosa nostra, dietro le sbarre da 28, al 41bis per la forte possibilità che sia ancora ampiamente influente nelle decisioni delle organizzazioni criminali. Si tratta di Giovanni Riina, figlio del più noto e ormai defunto Totò, uno di quei cognomi che è difficile non notare. È in carcere per svariati omicidi e ora, per la sua gioia, rischia seriamente di lasciare il regime del 41bis per una decisione della Corte di Cassazione che riterrebbe “meramente apparente” la sua influenza su Cosa Nostra oggi, andando contro, in realtà, a ciò che aveva disposto finora. È in prigione dal 1996 e al 41bis dal 20 giugno del 2002 e da allora il regime è sempre stato riconfermato. Adesso, tutto ruota sulla sua posizione di vertice o meno a capo dell’organizzazione, che è ancora attiva a Corleone. Anche se per la difesa non ci sarebbero più motivi validi, dato che le proroghe dei precedenti anni non contenevano “alcuna rinnovata valutazione sulla pericolosità” del soggetto. Dunque, il ricorso di Giovanni Riina è stato accolto dalla Cassazione perché “non vi è stato da parte del tribunale di Sorveglianza alcun apprezzamento in concreto della incidenza del decorso del tempo in rapporto a una condizione associativa pregressa che non è mai stata processualmente accertata in termini di ruolo di vertice in riferimento a Giovanni Riina, condannato per mera partecipazione al sodalizio mafioso”. Insomma, sarebbero cadute le motivazioni che hanno riconfermato di anno in anno il regime di 41bis. A leggere bene le parole utilizzate, anzi, parrebbe quasi che delle giuste motivazioni non ci sarebbero mai state.
E c’è chi voleva eliminare il 41bis…
Tutta una questione che ha sollevato, giustamente, un polverone di polemiche e di reazioni da parte della politica. Anche e soprattutto a difesa del regime di 41bis, che la sinistra per mesi ha cercato di abbattere, ergendo a simbolo della battaglia un terrorista come Alfredo Cospito. La prima a farsi sentire è stata Chiara Colosimo, presidente della commissione Antimafia, che sui social ha fatto sapere di voler chiedere “le carte su Giovanni Riina, figlio del capo indiscusso di Cosa Nostra. La storia criminale di questo uomo non conosce dissociazioni e il solo cognome incute, ancora oggi, paura e una sorta di pericolosa e aberrante fascinazione. Metteremo la Commissione parlamentare antimafia a difesa del 41bis”. Poi le parole di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia: “Pur nel rispetto dovuto alla Suprema Corte, insisteremo nella richiesta di applicazione del regime di 41 bis, cosiddetto ‘carcere duro’ a Giovanni Riina. La conclamata e attuale pericolosità mafiosa di Giovanni Riina non consente di abbassare la guardia. Per fronteggiare i non condivisi ragionamenti della Suprema Corte, rappresenteremo tutti gli elementi raccolti dagli investigatori circa il ruolo ricoperto da Riina nell’associazione e la attuale pericolosità personale e della consorteria. Sul 41 bis non arretriamo”. Anche Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d’Italia, ha detto la sua: “Il 41 bis – ha sottolineato – è uno strumento fondamentale per smantellare il potere della mafia nella gestione dei traffici criminali sul territorio. Leggeremo le motivazioni, ma finché ci sarà Fratelli d’Italia al governo la lotta alla mafia sarà una priorità assoluta e la difesa del 41 bis resterà un pilastro indiscutibile”. Da sinistra, la reazione del Movimento Cinque Stelle c’è stata, totalmente assente invece quella del Partito democratico. Forse perché adesso chiedere la conferma del carcere duro a un mafioso dopo aver lottato per anni per la sua abolizione, sarebbe troppo ipocrita perfino per i dem.