Manicheismo e partigianeria delle toghe rosse provocano black out irreparabili

Il manicheismo e la partigianeria di alcune toghe possono produrre guasti irreparabili. A partire dalla decisione dell’Anm di trasformare il futuro referendum in un voto a favore o contro il governo. Una scelta scellerata che è molto rischiosa, perché conferisce una finalità apertamente politica all’azione del sindacato, e finisce con il minare la percezione di imparzialità delle decisioni dei singoli magistrati. La separazione delle carriere, in realtà, non attua alcun attentato alla Costituzione, ma anzi consentirà all’Italia di lasciare la compagnia di Turchia, Romania e Bulgaria, paesi in cui le carriere dei magistrati sono uniche, e di avere un ordinamento giudiziario come quello di tutte le democrazie europee.

La riforma, inoltre, è il primo passaggio attuativo di un altro dettato costituzionale, quell’articolo 111 che richiede un giudice terzo rispetto all’accusa e alla difesa e la parità delle parti nel processo, e per questo inciderà positivamente sui diritti dei cittadini comuni. La riforma, intervenendo sull’ordinamento giudiziario, contribuirà a rafforzare i diritti delle persone nelle indagini e nel processo. Infatti, una volta che l’arbitro smetterà di vestire la stessa casacca del pubblico ministero, gli indagati e gli imputati saranno finalmente garantiti da quel giudice terzo previsto dalla Costituzione e sino ad oggi mai realizzato.

La vera opposizione feroce alla riforma, da parte della magistratura associata, è dovuta in realtà alla introduzione del sorteggio come criterio di scelta dei componenti dei futuri due consigli superiori della magistratura. Il tutto è dovuto ad una trasformazione del Csm avvenuta negli anni. Da organo tecnico che deve presiedere al governo interno della magistratura è diventato il luogo di rappresentanza politica delle varie correnti, una specie di assemblea consiliare nella quale ogni componente porta le istanze politiche dei propri elettori.

Le proteste della magistratura associata sono dunque dettate dalla volontà di conservare il potere di condizionamento dei singoli magistrati, delle indagini e del processo, e denotano il comportamento tipico delle élites. Vogliono che i costi della conservazione del proprio potere, per esempio la sostanziale impunità per gli errori commessi in danno delle persone, continuino ad essere scaricati sui cittadini comuni. Del resto la magistratura associata si è dichiarata contraria all’istituzione di un giornata della memoria delle vittime degli errori giudiziari, proprio perché le élites non gradiscono perdere l’impunità nella gestione dei processi decisionali.

Non è un caso, inoltre, che alle manifestazioni tenute nel corso del recente sciopero siano intervenuti solo esponenti di altre realtà distanti dalla gente comune e caratterizzate da una certa vanità: scrittori-ospiti tv (tra cui ex magistrati), artisti (tra cui Cetto La Qualunque, molto adeguato al contesto), e anche un avvocato noto per essere un facoltoso collezionista d’arte. Mai che su uno di questi palchi venga fatta salire la vittima di un errore giudiziario, una persona ingiustamente arrestata, un cittadino sconosciuto che ha speso tempo e tanto denaro per difendersi da una accusa ingiusta, o che abbia messo piede in un’aula di tribunale come semplice testimone.

Il motivo è chiaro: altrimenti si capirebbe che la separazione delle carriere non riguarda la tutela della magistratura o della Costituzione (che invece richiede da trent’anni che il giudice sia effettivamente terzo), ma quella dei cittadini comuni e anche dei tanti magistrati che ogni giorno lavorano tanto e in silenzio, e che soprattutto non intendono bussare con il cappello in mano ad una delle correnti per avere una promozione o un incarico. Perché non chiedere a questi comuni cittadini, che sono entrati nelle aule di giustizia, che percezione hanno avuto della terzietà del giudice rispetto al pubblico ministero? Perché non chiedergli se ritengono giusto che la carriera di un giudice dipenda dal voto dei pubblici ministeri? La separazione delle carriere non è una scelta tra questo governo e la magistratura, tra i politici e i magistrati, ma tra un giudice terzo e un giudice collega del pubblico ministero che da quest’ultimo dipende per la propria carriera. I cittadini sapranno scegliere in autonomia, senza farsi condizionare dalla propaganda.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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