Manovra : pensioni e reddito di cittadinanza. Guida semi-seria alle ultime modifiche

Comincia ad essere stucchevole questo voler scrivere ogni due o tre sulla manovra fiscale, dopo che viene strombazzato il suo varo definitivo che definitivo, fino ad ora, non è stato mai. Stress. Insomma, ci siamo? Possiamo scrivere su una manovra definitiva o magari dopodomani ci possiamo ritrovare a dover rivedere tutto da capo? Pare che ci siamo… almeno, dall’espressione allegra di Jucker mentre colpisce il povero Conte con una violenta pacca sulle spalle, sembrerebbe, ma considerando i non rari stati d’alterazione del lussemburghese, speriamo non sia il frutto di un cadeau di vini arrivato in anticipo rispetto al Natale.
Quindi, ottimisticamente, vediamo la definitiva manovra fiscale italiana che la UE dice di approvare salvo ripensarci a gennaio se le cose non dovessero andare come devono, pensa un po’! Comunque, dopo che i nostri leader hanno tanto suonato la grancassa su come se ne fregavano bellamente della UE, e di come avrebbero continuato a seguire le proprie idee sul futuro dell’Italia, ecco arrivare il “dietrofront e in riga ragazzi”. Perciò, prima cosa da evidenziare è il ribasso del rapporto tra deficit e Pil che passa da 2,4 a 2,04 (eh che furbastri non i numeri, quasi quasi sembrano la stessa cosa!), e quindi le risorse a disposizioni per le tante cose promesse diventato a 4,7 miliardi per il 2019, 8 nel 2020, 7 nel 2021.
Vediamo ora il famoso “quota 100”. Viene introdotta una serie di paletti atti a contenere la spesa, per il resto – si fa per dire – nulla cambia. A partire dal 1° di Aprile (ma la data l’hanno scelta apposta?) del 2019 potrà andare in pensione chi ha almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi versati, esattamente come già stabilito, e sia ben chiaro che bisogna avere entrambi i requisiti. Per fare un esempio, se si hanno 60 anni, e 40 anni di contributi versati il “quota 100” non funziona. Occorrono di base i 62 anni, altrimenti nulla. Sono 5 gli anni di anticipo massimo possibile rispetto all’andata in pensione normale che, dal 2019, sale a 67 anni. Da chiarire che chi si avvarrà del “quota 100” incasserà un assegno minore rispetto a chi andrà in pensione ai canonici 67 anni. Non sono previste però ulteriori penalizzazioni. Sollievo! Ma… e ti pareva non ci fosse un ma? Ma sono previsti dei paletti che dovrebbero contenere la spesa. Il primo è stato chiamato “delle finestre” che, tranquilli, non è un’indicazione a buttarvi di sotto. Si tratta solo di farvi tirare un po’ il collo. Infatti, dal momento in cui si raggiungerà la fatidica “quota 100” al momento in cui si incasserà il primo assegno della pensione, trascorreranno 3 mesi che però con un vezzo tutto italiano potrebbero diventare sei se in quel momento si è in troppi ad aver raggiunto i requisiti. Praticamente, i sei mesi sono da considerarsi una certezza, e se vogliamo essere pessimisti magari ne mettiamo in conto 9,12,24 … e vai di tabellina.
C’è poi il deterrente del “cumulo”. Chi userà “quota 100” non potrà arrotondare sommando alla pensione redditi da lavoro superiori ai 5 mila euro lordi l’anno. Il divieto durerà quanto gli anni che mancano all’andata in pensione normale, cioè i 67 anni. Ne consegue che se si va in pensione a 62, base minima di quota 100, si dovranno attendere 5 anni, 4 se si andrà a 63 e così via.
Per riprenderci da quanto sopra, possiamo godere leggendo come verranno “puniti” almeno per i prossimi 5 anni i fortunati possessori di pensioni d’oro, così almeno l’invidia si placherà un po’. Per il 2019 sono stati previsti tagli oltre i 100 euro lordi. Sono state individuate 5 fasce di reddito su cui agire: tra 100 mila e 130 mila l’aliquota marginale di riduzione sarà del 15%, che salirà al 25% per la fascia 130mila-200mila e ancora al 30% fra 200 mila e 350 mila. Per le pensioni fra i 350 mila e i 500 mila l’asticella sale al 35% e oltre i 500 mila arriverà al 40%.
Sempre da 1° di Aprile 2019 (ma piace proprio a tutti il primo di Aprile, eh?) partirà anche il tanto discusso reddito di cittadinanza. Qui però ancora un po’ di mistero permane perché i dettagli verranno definiti da un apposito decreto legge che vedrà la luce subito dopo la finanziaria. Una cosa è certa: a disposizione non ci sono più i 9 miliardi preventivati, sì è infatti scesi a 7,1 a cui va sottratto un altro miliardo da destinare ai centri per l’impiego. Dice il premier Conte: “Non si riducono né i contenuti né la platea dei destinatari”. E allora che si riduce visto che i soldini sono di meno? Viene da dire “le aspettative” almeno quelle degli ottimisti che già si vedevano ad incassare piccole fortune mensili perché a sentirli, ti ci fanno davvero credere. Ripetono che il reddito di cittadinanza andrà a quasi 6 milioni di italiani che secondo l’Istat sono in povertà assoluta, con un reddito annuo al di sotto dei 9mila euro, e che ora potranno ambire a ricevere “fino” a 780 euro al mese. E ne avranno diritto anche più membri della stessa famiglia, necessario è che ognuno abbia un reddito inferiore alla soglia di povertà relativa fissata sui 780 euro al mese. In pratica, si avvererà il sogno di quella famigliola napoletana, moglie marito e 4 figli tutti disoccupati. Tutti a reddito zero che, almeno in teoria, andranno ad incassare 780€ x 5, pari a 3900€ mensili sempre che la mamma non richieda nulla e si accontenti di far “rendere” i maschi di casa. C’è solo un piccolo però, e sarebbe un calcolo matematico che ci porta ad esprimere alcune perplessità. Se i poveri sono 6 milioni, e i miliardi a disposizione sono 7,1, come si fa a dare 780 € mensili a povero? Infatti, 7 miliardi diviso 6 milioni fa circa 1166€ all’anno, che diviso almeno per 10 mesi nel 2019, fa 116,6€ mensili a povero. Sarà interessante capire come ne verranno fuori. C’è però da dire che bisognerà essere davvero poveri per ambire al reddito di cittadinanza, infatti non si potrà avere un conto in banca superiore ai 5000 euro, né una seconda casa e nemmeno un’auto immatricolata recentemente. E se non bastasse, il reddito di cittadinanza durerà al massimo 18 mesi durante i quali bisognerà frequentare corsi di formazione nei centri per l’impiego (e già qui viene da ridere considerando come sono ridotti i nostri “centri per l’impiego”) e dedicare almeno 8 ore a settimana a lavori di pubblica utilità nel proprio Comune di residenza –standing ovation della Raggi che già si vede circondata da battaglioni di “redditati” pronti a tappare le buche a Roma, magari con i secchielli e le palette -. Senza considerare che se rifiuti 3 offerte di lavoro in fila, il sostegno ti verrà tolto. Naturalmente quest’ultimo punto prendetelo così tanto per dire, visto che se avessimo tutti questi posti di lavoro da offrire, non si capisce perché non offrirli prima di concedere il reddito di cittadinanza invece che dopo. In ogni caso, immaginiamo che, dopo tutto ciò, la famosa platea di 6 milioni di poveri annunciata dall’Istat si dovrebbe drasticamente ridurre. E’ su questo che contano il premier, DiMaio e Salvini?

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RK Montanari
RK Montanarihttps://www.lavocedelpatriota.it
Viaggiatrice instancabile, appassionata di fantasy, innamorata della sua Italia.

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