Meloni e Trump, atto primo della nuova alleanza occidentale

Non sarà Ursula von der Leyen, né Emmanuel Macron, né uno dei tanti generali senza esercito di stanza a Bruxelles. A rappresentare l’Europa, domani a Mar-a-Lago, davanti a Donald J. Trump, ci sarà Giorgia Meloni. Un fatto che, da solo, segna un cambio di paradigma. Non è più il potere delle istituzioni sovranazionali a dettare la linea, ma quello della politica reale, fatta da chi è realmente interprete del proprio tempo e del proprio popolo. 

Per chi non se ne fosse accorto, l’incontro di domani non è un episodio di contorno, ma l’atto fondativo di una nuova alleanza che può ridefinire l’identità dell’Occidente.

L’Italia, grazie a Meloni, non si limita più a eseguire. Prende posizione. Parla da pari a pari con gli Stati Uniti, perché ha finalmente un leader, Giorgia Meloni, che non ha paura di dire che «gli interessi degli Stati Uniti non sempre coincidono con quelli dell’Europa e dell’Italia» – come ha spiegato nel libro-intervista La versione di Giorgia – ma anche che «è normale che l’America faccia i suoi interessi; il punto è se anche noi facciamo i nostri». Un approccio maturo, adulto, fondato sul rispetto reciproco e non sulla subalternità ideologica.

Insomma, Giorgia Meloni si presenta all’appuntamento non solo come capo del governo italiano, ma come punto di riferimento di una nuova Europa che vuole riscrivere le regole. Un’Europa che non si rassegna all’irrilevanza, che non accetta di essere ostaggio delle multinazionali o delle follie ideologiche, e che intende ristabilire una gerarchia tra politica ed economia, tra ciò che serve ai popoli e ciò che fa comodo agli speculatori. In questo senso, l’incontro tra Meloni e Trump è molto più di una visita istituzionale: rappresenta un manifesto valoriale.

Il mondo, oggi, è in piena transizione. Fino a vent’anni fa, la globalizzazione coincideva con l’espansione dei modelli occidentali e americani. Oggi sta prendendo un’altra direzione: sta diventando un processo di cinesizzazione e comunistizzazione, che premia chi sfrutta manodopera a basso costo e produce senza alcuna regola. Una competizione truccata, dove chi rispetta i diritti e le regole viene penalizzato, mentre chi le aggira viene premiato. È il momento, anche per l’Europa, di alzare la testa e dire basta con la sudditanza. Occorre fissare dei limiti chiari, difendere la nostra economia reale, proteggere il nostro lavoro, la nostra manifattura, i nostri standard.

Il modello che per decenni ha presentato la globalizzazione come progresso inarrestabile si è rivelato un colossale imbroglio. Ha tolto potere agli Stati e ai cittadini, regalando miliardi alla finanza apolide. Trump lo aveva capito con decenni di anticipo. Già nel 2000, nel suo libro-manifesto The America We Deserve, scriveva: «Basta guardare al nostro deficit commerciale per vedere che siamo stati presi per il culo dai nostri partner commerciali. Abbiamo bisogno di negoziati più duri, non di muri protezionistici intorno all’America. Dobbiamo assicurarci che i mercati esteri siano aperti ai nostri prodotti quanto il nostro paese è aperto ai loro.»

Questo lo scriveva 25 anni fa, ergo, ciò che ha in mente Trump non è «imprevedibile» o «improvvisato», come scrivono e dicono gli analisti da strapazzo del mainstream, al contrario è chiarissimo e anche noto. Basterebbe informarsi e studiare. 

Oggi, Giorgia Meloni porta avanti la stessa battaglia. Ha posto un freno alla Via della Seta con la Cina, ha rilanciato la centralità del Made in Italy e ha messo l’economia reale al centro delle priorità di governo. Ed ecco emergere un altro concetto che la sinistra ha abbandonato sull’altare del globalismo: la redistribuzione. Ma non quella farlocca da voto di scambio che toglie ai cittadini onesti per dare ai fannulloni, bensì quella che riporta la ricchezza dalla finanza all’economia reale. È la politica che toglie potere alle rendite speculative per restituirlo al lavoro, alla produzione, all’impresa.

Il ritorno di Trump e la leadership di Meloni rappresentano l’occasione per ribaltare la logica dominante: rimettere la politica al suo posto, sopra la finanza, e l’economia reale sopra le illusioni ideologiche. E, soprattutto, difendere l’Occidente da chi lo vuole debole, frammentato, colpevolizzato.

Ora dovrebbe essere ancora più chiaro perché la sinistra e le élite finanziarie sostenute da Bruxelles vedano come il fumo negli occhi democrazia e libertà d’opinione: per il semplice fatto che restituire potere al popolo significa toglierlo alla finanza e alle multinazionali.

Giorgia Meloni e Donald Trump, con il loro incontro, lanciano un segnale forte: i tempi sono maturi per una nuova leadership globale. Una leadership che parla la lingua dei fatti, che difende i popoli e non le élite, che non ha paura di indicare la rotta anche quando significa andare controcorrente. Domani, a Mar-a-Lago, potrebbe iniziare davvero la riscossa dell’Occidente. 

E questa volta, grazie a Giorgia Meloni, l’Italia è protagonista.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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