Come finire su tutti i giornali e farsi pubblicità gratuitamente? Basta aggiungere un bell’“antifascista” al nome ideato per il proprio evento e il gioco è fatto. Con l’accordo con l’Albania che è presente, quotidianamente, sulla bocca di tutti i politici e nelle redazioni di tutti i giornali, sembrava quasi che lo spettro fascista fosse sparito dalle menti di progressisti e benpensanti. E invece eccolo che arriva, quando meno te lo aspetti, puntuale come un orologio svizzero, quasi come l’apologia al fascismo che la sinistra vede quando qualcuno, nel periodo natalizio, anche dall’altra parte dell’Oceano, scrive X Mas invece di Christmas. Bari, finita su tutti i giornali negli ultimi mesi per le brutte vicende legate alla Giunta regionale di Michele Emiliano e all’ex sindaco di Bari Antonio Decaro, aveva bisogno di una svolta, ed eccola arrivata, direttamente dall’Ateneo intitolato ad Aldo Moro. “Michelangelo antifascista a Bari”, ed è subito un salto temporale di circa 500 anni.
La forzatura
E in effetti non si è ancora capito perché l’evento, iniziato ieri, abbia questa dicitura. Spulciando sul sito dell’Ateneo, viene data una certa spiegazione, che dice tutto ma non dice niente: c’entra forse il fatto che nel 1964 si tenne il ventennale del congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale e, nello stesso anno, si tennero delle conferenze sull’artista a 400 anni dalla sua morte. “Nel novembre del ’64 – si legge –, nel giovane Ateneo istituito solo quarant’anni prima (quando fu intitolato a Benito Mussolini – eccolo – per omaggiarne l’ascesa), venne avviato un ciclo di conferenze curato da Adriano Prandi focalizzato sulle celebrazioni nazionali per il IV Centenario della scomparsa di Michelangelo Buonarroti. È in questa specifica circostanza che il ‘romano’ Prandi, fondatore dell’Istituto di Storia dell’Arte e Archeologia in Ateneo, a Bari dal 1947 al 1975, invitò Carlo Ludovico Ragghianti, storico dell’arte militante, presidente del CLN Toscana, in rapporto con Bari e gli editori Laterza dal 1946, a parlare del suo critofilm intitolato “Michelangiolo”, appena proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia, la stessa che aveva accolto il “Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini”. Il nome del film, che suona strano, fu dato per l’inedito utilizzo delle macchine da presa che portarono a un nuovo tipo di racconto delle opere dell’artista, più di un semplice documentario. Dunque arte. Arte che con il fascismo c’entra poco.
Il marketing
Allora, oltre quella che appare più come una forzatura, questo legame non meglio identificato tra Michelangelo e i Comitati di Liberazione Nazionale, non si è capito perché il Buonarroti dovrebbe essere antifascista. Forse, ai giorni nostri, sarebbe stato uno dei tanti artisti costretti a dichiararsi tale per vendere di più. O forse no, perché i suoi capolavori parlavano per lui. Sta di fatto che il marketing dell’antifascismo è un evergreen che adesso vuole coinvolgere anche arte e storia passate. E di business antifa’ ne sa qualcosa chi si è inventato una censura in Tv per poter girare per tutta Italia a vendere il proprio libro, pubblicato – e che caso! – a poco tempo dall’accaduto. Quello su Michelangelo è una cancel culture al contrario: una riscrittura che, in generale, se si va avanti e se si ingrandisce, è pericolosa per la storia e per la democrazia. È l’ultima frontiera dell’antifascismo militante.