È stato approvato ieri, al Parlamento europeo, il nuovo Patto sui migranti. Un patto il cui iter formativo ha richiesto lavori parlamentari e un dialogo tra Stati membri durati ben quattro anni: quattro anni in cui si è capito che la precedente normativa non era più capace di regolare un fenomeno che, nel giro di poco tempo, si è evoluto, espandendosi in quantità e portando con sé altre problematiche come quelle in merito alla sicurezza e al terrorismo, nonché al welfare. Il nuovo patto riforma in particolare le modalità di rimpatrio, in rottura con il Regolamento di Dublino, e inserisce dei maggiori meccanismi di solidarietà: per superare il vincolo che costringeva i Paesi di primo approdo a valutare la stragrande maggioranza dei richiedenti, ora gli Stati membri dovranno scegliere, per farla breve, se aiutare economicamente il Paese di primo approdo o accogliere i migranti, o propendere per una combinazione delle due soluzioni. Saranno più veloci le procedure di trattamento delle domande di asilo.
Prime risposte comunitarie. Ma serve altro
Il Patto è sicuramente una prima buona risposta europea e comunitaria alla questione dell’immigrazione clandestina. Una risposta concreta che arriva dopo il cambio di passo europeo sancito dall’intervento del Governo Meloni: un passo di approccio totale, con una nuova visione sul problema. L’obiettivo non è più quello di gestire passivamente i migranti, di spartirli tra Stati subendo i flussi, ma quello di prevenirli. L’intenzione c’è e si è vista dalla cooperazione nata tra le Istituzioni europee e i Paesi nord-africani sotto la spinta di Giorgia Meloni: collaborare con i Paesi di transito e soprattutto con quelli di origine dei flussi, è l’unica alternativa per stroncare sul nascere la partenza dei migranti, combattendo quelle motivazioni (povertà, fame, disoccupazione) che portano i cittadini africani ad attraversare il deserto e il Mediterraneo affidandosi alla criminalità organizzata. È questa la linea che Giorgia Meloni sta seguendo e che sta iniziando a intravedersi anche in Europa. Il Patto sui migranti è certamente una buona notizia, figlia di tale nuovo approccio, ma è ancora un primo passo verso una completa risoluzione del problema: in pratica, anche se in generale può essere considerato un primo importante passo in avanti, ci sono ancora sicuramente da migliorare alcune tematiche, come quella della normativa sui Paesi di primo approdo come l’Italia. Un cambiamento profondo si potrà avere solo con un buon risultato della destra europea alle prossime elezioni.
Il voto contrario e ideologico del PD
Dal dire questo a votare contro al pacchetto, però, ce ne vuole. Un voto contrario si sarebbe identificato come l’ennesimo tentativo di trascurare una vicenda importantissima per i Paesi come l’Italia, in prima linea in fatto di accoglienza. E infatti, il voto contrario è arrivato proprio dal Partito Democratico. Lo ha fatto allontanandosi dai socialisti europei e schierandosi apertamente con l’estrema sinistra (non che ci fosse bisogno di una dimostrazione tanto chiara): il pacchetto, per i dem, sarebbe solo un metodo per “costruire mura”, reo di non considerare l’umanità dei migranti che arrivano in Europa. Migranti la cui stessa vita, a dirla tutta, non viene messa a rischio da un eventuale rimpatrio, ma dalla traversata nel deserto e per mare che per mesi sono costretti ad affrontare affidandosi a criminali. Il no del PD si pone in contraddizione, quindi, non solo con gli interessi dell’Italia e dei cittadini italiani, ma anche con i suoi stessi alleati al Parlamento europeo che, grazie anche all’azione di Giorgia Meloni, hanno iniziato ad aprire quantomeno un dialogo più intenso e costruttivo sul tema. “Grazie per il coraggio di scendere a compromessi” ha scritto su X Ylva Johansonn, commissaria europea per gli Affari interni. Non certo una di destra: “Il voto di oggi è un grande risultato. Potremo tutelare meglio le nostre frontiere esterne, i vulnerabili e i rifugiati, rimpatriano rapidamente coloro che non hanno diritto a restare, con la solidarietà obbligatoria tra gli Stati membri”. Insomma, è rimasto solo il PD a rinchiudersi ancora nei suoi preconcetti puramente ideologici, portando avanti, con riferimento al caso concreto, un tipo di strategia che tutti, in Europa, hanno oramai riconosciuto come fallimentare: quella dell’accoglienza a tutti i costi.