Migranti, Austria e Svezia vogliono di più dalla Ue: il modello Meloni fa gola in tutta Europa

Austria e Svezia confermano la loro posizione a difesa dei confini dai flussi irregolari di migranti. Dopo un lungo periodo di politiche sbagliate che hanno trasformato Stoccolma, molto più di Vienna, in una delle città simbolo della mancata e cattiva integrazione tra cultura locale e migranti irregolari, i due Paesi chiedono ora una stretta, confermando la loro posizione nel contrastare i flussi irregolari. “Siamo alleati nella lotta contro gli ingressi illegali – ha dichiarato Karl Nehammer, premier austriaco -. La Svezia è un partner importante e affidabile, una voce forte”. Parole contraccambiate dal suo omologo svedese, Ulf Kristersson: “Credo che sia io che il Cancelliere condividiamo il desiderio di pensare fuori dagli schemi, di non accontentarci e di voler spiegare che le questioni sono complicate. Lo sapevamo d’altra parte. Ma le cose complicate sono fatte per essere risolte, non per essere solo discusse”.

D’altronde, l’Austria già compariva nella lista dei 15 Paesi che, nei mesi addietro, sottoscrissero una lettera inoltrata alla Commissione europea per fermare gli ingressi irregolari e dotarsi di nuovo strutture e di nuove modalità di respingimento degli irregolari alle frontiere. Uno su tutti, il modello alla base dell’accordo tra Italia e Albania, il modello dell’effetto deterrente, quello cioè finalizzato a impedire ai migranti di toccare il suolo europeo. La richiesta era di “identificare, sviluppare e proporre nuovi mezzi e nuove soluzioni per prevenire l’immigrazione irregolare in Europa”. E poco più tardi, un’altra lettera firmata da 17 Stati membri (in questa lista, comparivano sia Austria sia Svezia) chiedeva un “cambio di paradigma” nella lotta ai flussi clandestini. Un modello che anche la stessa Commissione ha espresso la volontà di seguire, una di quelle “soluzioni innovative” richieste da Bruxelles per superare i fallimenti di un intero decennio in fatto di contrasto alla criminalità organizzata nel Mediterraneo: “Con l’inizio delle operazioni previste dal protocollo Italia-Albania, potremo avere delle lezioni dall’applicazione pratica” aveva scritto Ursula von der Leyen nella lettera rivolta ai capi di Stato e di governo in vista di un Consiglio europeo a ottobre.

Tutti seguono l’Italia

Tutti insomma seguono il modello italiano contro gli ingressi indiscriminati. Un modello ideato, voluto, costruito, ottenuto da Giorgia Meloni: sulla base di vari accordi con i Paesi africani, di origine e di transito, l’inasprimento delle politiche di accesso, la sicurezza delle frontiere, le soluzioni innovative, il pugno duro contro i trafficanti, il governo di centrodestra è riuscito a far calare gli sbarchi nel 2024 del 60% rispetto all’anno precedente e di circa il 40% rispetto al 2022. Gli ingressi illegali si sono fermati a 66mila rispetto agli oltre 150mila del 2023. E tanti Paesi, non soltanto quelli governati dalle destre, hanno iniziato a seguire l’esempio italiano, sembrano seriamente intenzionati a porre fine in modo del tutto pragmatico a un problema concreto e serio, che non ha affatto bisogno di pensieri astratti, ma di azione, di fatti. Negli ultimi mesi, la pessima convivenza tra le culture accolte e quelle locali ha fatto crollare come un castello di sabbia il baluardo dei Paesi nordici come estremamente sicuri. Anche lì, specie nelle grandi metropoli, il livello di allerta è elevato, con un sentimento di inquietudine che si manifesta sulla popolazione, sulle persone normali che vivono una vita normale, quella di tutti i giorni.

Entra in scena così l’Italia di Giorgia Meloni, un modello da seguire in maniera assoluta. Non a caso, l’Italia è stata tra le promotrici delle riunioni informali tenutesi a Bruxelles, l’ultima delle quali a metà dicembre, al fine di “disporre – secondo Palazzo Chigi – di un quadro normativo europeo sempre più chiaro ed efficace con, in particolare, il rafforzamento dei concetti di Paese sicuro di origine e Paese terzo sicuro per sostenere le soluzioni innovative, a partire dal modello Italia-Albania e dalla possibile creazione di “returns hubs” in Paesi terzi”. Il modello Italia che fa gola ai grandi Paesi europei.

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