Migranti, giudici: se gay accoglierli e dare protezione in ogni caso

Prima di negare lo status di rifugiati ai Migranti che dichiarano di essere omosessuali e di rischiare la vita se rimpatriati a causa del loro orientamento sessuale, si deve accertare se nei Paesi d’origine non solo non ci siano leggi discriminatorie e omofobe ma anche verificare che le autorità del luogo apprestino “adeguata tutela” per i gay, ad esempio se colpiti da “persecuzioni” di tipo familiare.

Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso di un cittadino gay della Costa d’Avorio, minacciato dai parenti. Al protagonista di questa vicenda giudiziaria arrivata fino alla Suprema Corte, la Commissione territoriale di Crotone non aveva concesso il diritto di rimanere in Italia sottolineando che “in Costa d’Avorio al contrario di altri stati africani, l’omosessualità non è considerata un reato, nè lo Stato presenta una condizione di conflitto armato o violenza diffusa”.

Per i giudici tuttavia, queste rassicurazioni non bastano: serve accertare l’adeguata protezione statale per minacce provenienti da soggetti privati. Bakayoko Aboubakar S. aveva raccontato che era di religione musulmana, coniugato con due figli, e diventato oggetto “di disprezzo e accuse da parte di sua moglie e di suo padre” che era imam del villaggio, “dopo aver intrattenuto una relazione omosessuale”. Aveva deciso di fuggire quando il suo partner era stato “ucciso in circostanze non note, a suo dire ad opera di suo padre”, l’imam.

Secondo la Cassazione “non è conforme a diritto” – quanto deciso oltre che dalla Commissione prefettizia anche dal Tribunale di Catanzaro nel 2014, e dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2016 – aver negato la protezione a Bakayoko senza accertare se nel suo Paese sarebbe difeso dalle minacce dei parenti.

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