“Creiamo ricchezza in Africa perché tutti preferirebbero rimanere nella propria patria”: è quanto sostiene mons. Sosthène Léopold Bayemi Matjei, Vescovo di Obala, Camerun, in una dichiarazione resa ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), ha affrontato il problema dell’emigrazione dal suo Paese. Obala è una diocesi rurale con circa 800.000 abitanti, più della metà dei quali cattolici. “Non solo i cristiani ma tutti gli abitanti del Camerun preferiscono rimanere nella loro patria” purtroppo, spiega il vescovo di Obala i salari bassi – “un medico in Camerun percepisce circa 350 euro al mese” – il mancato sviluppo imprenditoriale, gli alti tassi applicati dalle banche locali “tutte francesi o inglesi”, la moneta controllata dalla Francia e “l’obbligo di destinare metà delle nostre risorse alla Banca di Francia”, la corruzione, la presenza di Boko Haram, “gli scontri tra anglofoni e francofoni che utilizzano le risorse economiche per sovvenzionare le loro guerre e non per creare e favorire lo sviluppo professionale, le infrastrutture e le strutture necessarie al nostro Paese” fanno temere un colpo di Stato”.
Altri fattori di instabilità sono il cambiamento climatico che danneggia i terreni arabili e la tecnologia che l’Occidente non trasferisce nei Paesi africani: “Abbiamo le risorse umane per rispondere alle necessità di lavoro industriale se vengono fatti i giusti investimenti” annota il presule. Circa la gestione dell’emergenza immigrazione mons. Matjei sottolinea che “è fondamentale la prevenzione. Ci vuole un cambiamento completo e per farlo bisogna partire dalla gestione dell’emergenza con lo scopo di creare un futuro, dare una speranza. È giusto prevedere i flussi e regolamentarli con i mezzi di controllo statale ma è meglio dare la possibilità di rimanere in patria”.
Vescovo da 13 anni, mons. Matjei denuncia “i limiti” delle attuali politiche per lo sviluppo: “Ho incontrato esponenti del Fondo Monetario Internazionale e ho chiesto loro di confrontarsi non solo con i governi ma anche con coloro che vivono condizioni problematiche e dovrebbero ricevere gli aiuti. Molti contributi vengono usati male perché manca il confronto diretto, questo genera una paralisi. Gli interventi devono riguardare l’intera filiera produttiva. Ad esempio, la Danimarca anni fa ha iniziato un progetto per la creazione di pozzi d’acqua. Hanno costruito le infrastrutture nei villaggi collegando acquedotti ai fiumi ma non hanno fatto formazione locale. Hanno lasciato l’infrastruttura ma non ci hanno insegnato a gestire la manutenzione e ci siamo ritrovati senza assistenza tecnica e a dover coprire i costi del carburante per far funzionare le macchine”. La Chiesa locale, dal canto suo, ha avviato scuole e cooperative per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro”. Da qui l’appello e un ringraziamento ad Acs per il sostegno alla popolazione: “Continuate a sostenerci ma creiamo ricchezza in Africa aiutandoci a plasmare, anche tramite progetti pastorali, la giusta mentalità. Non è semplice ma è importante”.