Migranti, le tesi delle toghe rosse traballano: la Procura chiede di temporeggiare sul ricorso del Governo

Oggi la Cassazione dovrebbe tenere udienza sul ricorso del governo alla decisione del tribunale di Roma, a cui hanno fatto seguito le decisioni di diversi altri tribunali, con cui sostanzialmente si bloccava il trasporto dei clandestini verso i centri per l’accoglienza e il rimpatrio costruiti in Albania. Tutta una trafila giudiziaria, fatta di un tira e molla tra toghe politicizzate che cercano di influenzare decisioni politiche che dovrebbero spettare all’esecutivo, e l’esecutivo stesso che rivendica la titolarità di certe scelte. Potrebbe risolversi con la decisione della Cassazione attesa per oggi, anche se probabilmente, anche dopo l’appello della Procura generale di sospendere il giudizio, si sceglierà di attendere (in modo sensato, va detto) la decisione della Corte di Giustizia europea, alla quale hanno fatto ricorso alcuni tribunali (il primo è stato quello di Bologna) per chiarire, in caso di divergenze tra normativa nazionale e normativa comunitaria, quale seguire.

La questione riguarda l’ormai famosa sentenza della Corte di Lussemburgo che, decidendo su un caso evidenziato dalla Repubblica Ceca con il quale i giudici comunitari hanno sottolineato il principio della territorialità, secondo il quale un Paese non può essere ritenuto sicuro se non lo è il suo intero territorio. Il governo ha già recepito tale disposizione quando, riformulando la lista dei Paesi sicuri, ha eliminato dal suo interno gli Stati che non rispettano tale requisito. Il caso è nato quando i giudici hanno esteso la territorialità anche alle categorie di persone: in pratica, secondo le sentenze, un giudice può decidere di non rimpatriare un migrante se nel suo Paese di origine vengono compiute alcune discriminazioni di qualsivoglia genere, anche se quel singolo migrante non appartiene a nessuna delle categorie discriminate. Un paradosso non da poco: i giudici, in questo modo, si sarebbero riservati la totale discrezionalità nello scegliere chi entra e chi no. E se scelgono di far entrare tutti, potrebbero essere potenzialmente capaci di farlo. Alla faccia della sovranità dei governi eletti dai cittadini…

L’ammissione della Procura

L’esecutivo non ci sta e ha fatto ricorso, dichiarando che i magistrati del tribunale di Roma hanno “travisato il contenuto e la portata della sentenza del 4 ottobre”, quella della Corte di Giustizia dell’Unione europea, omettendo “di indicare le ragioni in fatto che hanno condotto ad affermare che il Paese di origine non fosse sicuro”. Ma forse, adesso, il fatto più rilevante è che la Procura, scrivendo alla Cassazione, ha fatto quella che tutto sommato sembra essere una conferma della precarietà della scelta dei giudici: “Una sostanziale equiparazione tra l’insicurezza geografica e quella per categorie di persone non è automatica né convincente”. E questo perché “le eccezioni personali (o meglio per categorie di persone) non hanno formato oggetto specifico della decisione della Cgue, e non sono state ancora compiutamente esaminate quanto alla loro incidenza sulla nozione di Paese sicuro”. In pratica, i giudici che vorrebbero affossare l’accordo tra Italia Albania sono dei precursori dei tempi. Altrimenti non spiega.

Dunque la richiesta alla Cassazione di aspettare la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Richiesta che, ripetiamo, ha il suo fondamento logico e giuridico: sarebbe inutile emanare una sentenza quando si sa già che un’altra, vincolante, sta per essere emanata. Ma forse tale richiesta potrebbe nascondere altro: non sarà forse il timore di ricevere una sentenza non voluta e, dunque, la volontà di temporeggiare ancora un po’?

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