Migranti, le toghe rosse se ne infischiano della Cassazione: nuova sentenza pro-clandestini

A pochissimi giorni (nemmeno una settimana) dalla pronuncia della Corte di Cassazione che rimette nelle mani del governo – casomai ci fosse stata qualche titubanza in merito – la possibilità di scegliere i Paesi sicuri, arriva una nuova sentenza pro-migranti da parte, questa volta, del tribunale di Catania, che ha annullato il trattenimento di un migrante clandestino egiziano reputando il suo Paese di origine non sicuro, pur essendo nella lista dei Paesi sicuri, verso i quali appunto si può essere rimpatriati. Infischiandosene, dunque, della sentenza della Suprema Corte, che sostanzialmente ha previsto tre cose molto semplici: che è il governo a stilare la lista dei Paesi sicuri, con la possibilità per il giudice di derogarvi soltanto in casi eccezionali; che il principio della territorialità ha la meglio, anzi, non ha nulla a che fare con quello delle categorie di persone; che un Paese è sicuro anche se ci sono minoranze non rispettate, secondo – si legge nella stessa – un “criterio di prevalenza, non di assolutezza delle condizioni di sicurezza”. Dunque, in pratica, un migrante può essere rimpatriato anche se nel suo Paese ci sono minoranze non rispettate. Succedeva invece il contrario fino a poco fa: il migrante non veniva rimpatriato in questi casi, anche se questi non si dichiarava appartenente a nessuna di queste categorie.

Ma è quello che, in sostanza, è stato riproposto dal tribunale di Catania, secondo quanto riportato questa mattina dal Tempo. La convalida del trattenimento era stata richiesta dalla questura di Ragusa, ma l’egiziano, un trentenne, adesso si trova libero per la Sicilia perché a Catania così è stato deciso. Il giudice che ha annullato il suo trattenimento avrebbe utilizzato proprio la sentenza della Cassazione in appoggio alle proprie tesi, appellandosi al principio “secondo cui il giudice ordinario ha il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità della designazione da parte dell’autorità governativa di un certo Paese di origine tra quelli sicuri, ove tale designazione contrasti in modo manifesto con la normativa europea vigente in materia, anche tenendo conto delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32, aggiornate al momento della decisione”. In pratica, se il giudice ha deciso che l’Egitto non è sicuro, non è sicuro, ma la Corte di Cassazione ha già ampiamente chiarito che non può funzionare così. Il “problema” è che la sentenza della Corte di Cassazione non è definitiva, ma si pone in attesa di quella della Corte di Giustizia dell’Unione europea, pur anticipandone i contenuti. Dunque, per ora, certi giudici si sentono ancora chiamati a disapplicare le norme disposte dal governo. Ma la carambola arriva quando il giudice di Catania, nel dichiarare l’Egitto un Paese non sicuro, fa un richiamo alle Coi, le Country of Origin Information, la cui unità, si legge sul sito del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno, ha il compito di “ricercare, compilare e produrre informazioni sui paesi dei richiedenti asilo, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n.25 del 28 gennaio 2008”. Insomma, le norme del governo vengono disapplicate con le indicazioni dello stesso governo. Un paradosso che soltanto le toghe rosse potevano raggiungere.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.