Per loro, gli studenti pro-Palestina dell’Università degli Studi di Milano, si tratta di una buona notizia, la vittoria dopo tanti mesi di battaglie, di accampamenti e occupazioni, di brandine e sacchi a pelo all’interno delle strutture, di imam che tenevano lezioni, sermoni e preghiere. Attraverso il dialogo con la rettrice Marina Brambilla, i giovani pro-Pal sono riusciti a strappare come fosse un premio la fine della cooperazione con l’università Reichman di Herzliya, poco distante da Tel Aviv, in Israele. In effetti, in tutta Italia le battaglie per il boicottaggio delle cooperazioni con le università israeliane sono state parecchie nel corso dei mesi e hanno interessato i migliori atenei della Nazione, da Milano a Roma, da Bologna a Napoli. A volte, anche diversi professori si sono uniti alle battaglie dei pro-Pal, che ora possono festeggiare. “A seguito di un incontro privato tenutosi il 18 ottobre con una delegazione dell’Intifada studentesca” hanno fatto sapere gli studenti amanti della kefiah, la rettrice “ha deciso di cedere alle nostre richieste di boicottaggio congelando con effetto immediato l’accordo internazionale con la Reichman University, una delle roccaforti del sionismo”.
Un brutto precedente, se si considera che lo studio è forse una delle armi più forti contro discriminazioni e chiusure ideologiche. Ma i pro-Pal tra le barriere ideologiche ci sguazzano e non vogliono avere nulla a che fare con gli israeliani. Anche se, in realtà, i militanti della sinistra radicale non dovrebbero festeggiare in modo così esasperato: in realtà, l’accordo internazionale tra i due atenei non è altro che uno scambio di studenti Erasmus, il classico scambio tra studenti di due Nazioni diverse che si recano per alcuni mesi nei rispettivi Paesi di origine. Inoltre, la battaglia dei pro-Pal è servita per bloccare il frequentatissimo progetto: quest’anno sono soltanto due gli studenti israeliani che sono giunti a Milano, mentre nessun italiano si è recato a studiare alla Reichman per ovvi motivi di sicurezza. Non si spiega, poi, la lotta contro lo stesso Reichman, al secolo Uriel, politico che invece appartiene alla corrente moderata e centrista che propone, tra le altre cose, la soluzione dei due popoli in due Stati. Ma sappiamo bene che non è abbastanza per chi, invece, vorrebbe privare Israele del diritto a esistere.
Il valore dello studio
Ad ogni modo, l’ateneo deve in realtà ancora decidere, spiegando che “l’argomento verrà discusso in sede di Senato accademico”. Ma molti altri studenti hanno protestato contro l’audizione degli studenti “dell’Intifada” dinnanzi alla rettrice. Un’audizione a cui è seguita una decisione che ha tenuto conto delle volontà soltanto di una minima parte degli studenti. Se, infatti, i pro-Pal sono sempre rumorosi e compaiono su tutti i giornali, rappresentano in realtà una parte minoritaria del corpo studentesco, tanto che riescono sempre a finire in basso nelle classifiche quando si parla di elezioni universitarie. Gli altri studenti reputano l’accaduto “grave perché colpisce un ateneo che con la guerra nulla ha a che fare e grave perché la rettrice non può avere incontri “privati” con un gruppo ultra-minoritario di studenti su temi che riguardano l’intera università”. Una situazione dunque paradossale: che la scelta dell’Ateneo sia stata presa per evitare altre proteste dei pro-Pal o per sentita vicinanza alla loro causa, non sta a noi dirlo. Ma certo è che boicottare le collaborazioni con le università israeliane non migliora affatto una situazione incandescente nata proprio da discriminazioni e odio tra le varie etnie della regione mediorientale. Grave che non venga riconosciuto il valore dello studio e dello scambio interculturale come arma per il superamento dei conflitti.