Odiato dagli statalisti incalliti. Amato dai pasdaran della libertà. Il presidente dell’Argentina, Javier Milei, a poco più di un anno dalla sua elezione, si sta rivelando una figura rivoluzionaria. Le sue riforme disegnano i tratti di un progetto ambizioso. I numeri gli danno ragione anche se la cura shock del suo governo ha allargato la forbice tra i ricchi e i poveri nel Paese. Le disuguaglianze crescono. “Tutto va come deve andare”, ha dichiarato lui a più riprese. La ricetta per rilanciare l’Argentina prevedeva infatti che, nel breve periodo, i dati avrebbero certificato un aumento della povertà. La sua, però, non è una gara che si vince in 100 metri piani. Assomiglia più a una maratona. È sul lungo periodo che dovrà fare la differenza.
Eletto in un momento di profonda crisi, caratterizzato da un’inflazione galoppante, un debito pubblico insostenibile e un tasso di povertà che superava il 40%, il leader liberale ha infranto paradigmi consolidati, segnando una cesura netta con il passato. Milei ha ridato centralità al libero mercato, all’efficienza economica e alla responsabilità individuale, proponendosi come un antidoto al declino argentino causato da decenni di interventismo statale e spesa pubblica fuori controllo.
Da subito ha dato vita a un programma di riforme audaci. La sua famosa “cura della motosega”, che aveva promesso in campagna elettorale, non è rimasta solo uno slogan: il numero dei ministeri è stato ridotto da 18 a 8, eliminando posizioni e strutture considerate inutili o dannose per l’efficienza amministrativa. Questa semplificazione ha permesso una drastica riduzione della spesa pubblica, contribuendo al primo avanzo di bilancio dal 2008. Misure come il taglio dei sussidi, la riduzione dei salari pubblici e la privatizzazione di aziende statali, sebbene dolorose, hanno messo le basi per un sistema più sostenibile e orientato alla competitività.
Uno dei punti più innovativi del suo programma è stata la riforma monetaria, che mira alla dollarizzazione dell’economia argentina. In un Paese dove il peso ha perso ogni credibilità e stabilità, Milei ha proposto l’adozione del dollaro statunitense come valuta ufficiale. Questa mossa, seppur non ancora pienamente attuata, ha già ridotto significativamente l’inflazione, scesa al 3,5% di settembre 2024, il livello più basso in decenni. La fiducia degli investitori internazionali è tornata a crescere. Anche la bilancia commerciale argentina ha registrato risultati straordinari. A ottobre 2024, il surplus è stato di 888 milioni di dollari, un risultato quasi impensabile fino a pochi mesi fa, considerando che nel 2023 era in deficit di oltre 400 milioni. Milei il liberista fa miracoli.
La sua leadership sta risuonando non solo in Argentina, ma in tutto l’Occidente. In un continente storicamente dominato dall’assistenzialismo e dalla retorica socialista, Milei si erge come il paladino di un Sud America diverso, basato su libertà individuale, responsabilità personale e rigore economico. Le sue politiche hanno sfidato l’idea che gli Stati latinoamericani debbano essere per forza guidati da governi socialisti. Il sostegno di istituzioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e J.P. Morgan, che ha rivisto al rialzo la previsione di crescita del Pil argentino all’8,5% per il 2024, uno dei tassi più alti al mondo, conferma la validità delle sue scelte. Questi numeri non solo certificano un cambiamento economico tangibile, ma offrono una prospettiva di stabilità a lungo termine che mancava da decenni.
Il presidente con la motosega è molto più di un economista prestato alla politica. È un innovatore, un provocatore e, per molti, un salvatore. In uno Stato che sembrava condannato alla stagnazione, Milei ha acceso una luce di speranza. Messaggio per i più scettici: lasciateci sognare in pace.