Mozart storpiato per attaccare Giorgia Meloni: la deriva delle teorie gender

Riscrivono la storia, riscrivono l’arte. Riscrivono tutto ciò che possono riscrivere per lanciare all’uditorio e al mondo intero il messaggio di cui si sono fatti carico: qui nel terzo millennio le cose devono cambiare, i pilastri fondamentali della società vanno alterati, i ruoli tipici dell’esistenza umana fin dalla sua età più istintiva e animale non esistono più. C’è piuttosto un mondo fluido, liquido, dove ognuno si mescola con chi vuole, dove la confusione è il nuovo ordine, dove le regole per il quieto vivere non esistono. E se c’è qualcuno che non è al “passo con i tempi”, vuol dire che quel qualcuno dovrà avere un ruolo marginale, sarà l’antagonista di tutta una vita, colpevole per il semplice fatto di aver detto le cose come stanno: occhio agli estremisti, che non sono mai sani.

L’amore di Mozart sottomesso al gender

E pure Mozart ha dovuto subire una pesante storpiatura in nome delle teorie gender, quel devastante pensiero che non lascia scampo agli avversi (subito tacciati per intolleranti e omofobi) e distrugge un’intera storia, quella della Clemenza di Tito, basata sull’amore tra i vari protagonisti che, tra intrecci e intrighi vari, riescono a salvare i propri sentimenti e le proprie vite. Tutto va per il meglio, insomma, nell’opera del prodigio di Salisburgo, un’opera seria, uno dei suoi ultimi capolavori. Ambientata nella Roma imperiale, narra della storia di Vitellia, figlia dell’imperatore Vitellio, amante di Sesto e in cerca di vendetta nei confronti di Tito, l’imperatore che aveva spodestato il padre e che l’aveva lasciata per un’altra donna. Ma Tito torna sui suoi passi, vorrebbe ricongiungersi con Vitellia, che però aveva già ordinato a Sesto, per altro amico dell’imperatore, di ucciderlo. L’attentato va male, ma al processo Tito grazia Vitellia e Sesto e consacra il loro amore. Appunto La clemenza di Tito, con cui Mozart voleva ingraziarsi il nuovo re di Boemia Leopoldo II. Una storia di amore tra i protagonisti e tra gli altri personaggi secondari che, oltre il suo rimando storico, fa sperare nell’amore sincero che giustifica ogni cosa.

Rilettura woke e pioggia di schwa

Ma, come anticipato, anche Mozart è stato vittima di riscrittura (e per fortuna non di damnatio memoriae, come vorrebbe spesso la cancel culture). La storia d’amore tra Vitellia e Sesto, e tra gli altri personaggi, diventa il pretesto per inneggiare alla cultura fluida, mentre la clemenza dell’imperatore, fulcro dell’intero impianto, simbolo del perdono di ogni atto dinnanzi al vero amore, si trasforma soltanto nell’ultima decisione in vita di Tito, ucciso a tradimento dagli omofobi. Le immagini dell’assalto al Campidoglio americano diventano lo sfondo dell’opera, Tito si trasforma in un capo di governo italiano e tutto subisce una rilettura woke: Sesto perde il suo genere e il suo nome viene scritto con la schwa finale; Annio, l’amico di Sest*, da sempre interpretato da soprani en travesti, si trasforma semplicemente in una donna. Le relazioni amorose non sono più quelle descritte da Mozart, ma sono lesbiche, omosessuali, bisessuali. Questo lo scenario presentato dalla nuova Clemenza di Tito andata in scena per il Festival di Pentecoste a Salisburgo, città natale del compositore.

Poi la follia: sul palco “una Giorgia Meloni” sanguinaria

Ma la metamorfosi più radicale la subisce il personaggio di Vitellia. Tailleur, tacchi, capelli biondi e medi. Sì, Vitellia si trasforma in Giorgia Meloni. “Ognuno vi legge quello che vuole” dice il regista Carsen. Giorgia… ehm, Vitellia è protagonista di un nuovo, secondo finale, che si aggiunge a quello voluto da Mozart: dopo la “clemenza di Tito”, dopo il perdono del capo di governo italiano per il suo tentato omicidio, arriva Vitellia, che riprova ad uccidere Tito. Il colpo è un successo, Tito viene pugnalato e cade a terra sanguinante, davanti al volto soddisfatto della Vitellia del nuovo mondo che, al contrario di quello originaria, che rinuncia alla vendetta del padre, è assetata di sangue e di potere. Il messaggio è dunque chiaro: se Giorgia Meloni e se l’Italia dicono no alle teorie gender che l’Europa vorrebbe imporre, allora saranno di diritto tacciati per omofobi e intolleranti. Questa è la deriva del perbenismo.

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