Muro di Berlino, i dem hanno paura di dire comunismo: il passato è ancora un macigno per il Pd

Il passato a sinistra è ancora troppo pesante per essere sradicato. Non vuol dire che gli esponenti del Pd siano dei fan sfegatati di Stalin e dell’Unione sovietica e che vorrebbero, come i loro padri politici, che l’Italia diventasse un Paese comunista. Ma a quanto pare è ancora troppo presto per rinnegare i propri trascorsi politici. Ancora il Pd non riesce a dire che alla base della povertà e delle ingiustizie che si ebbero in Unione sovietica, c’era una mentalità criminale nata inevitabilmente dall’ideologica comunista che, ovunque è riuscita ad arrivare al potere, ha provocato morti e devastazione. E così pure in Unione sovietica, dove è nata una delle dittature più crudeli della storia.

Guai a dire comunismo

A 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino, si festeggia la ritrovata libertà di tutti quei popoli e di quelle Nazioni che, abbattendolo, hanno avuto modo di tornare alla normalità e di abbandonare finalmente (ma non per tutti) il sistema dittatoriale. Gli eurodeputati del Pd hanno ricordato l’evento con un mix di video pubblicati sul profilo ufficiale della delegazione dem a Bruxelles, ma guai a dire la parolina magica: perché tra un aneddoto personale e un classico delirio, nessuno dei 18 eurodeputati ha saputo ricordare i danni fatti dal comunismo, che per quaranta anni ha voluto dividere il mondo in due. Inizia Nicola Zingaretti: l’ex governatore del Lazio sottolinea che picconare un muro è “un atto violento”, ma in quel caso fu “carico di gioia”. Per Alessandra Moretti era la “realizzazione di un sogno”. Brando Benifei ha voluto ricordare anche i muri “che oggi qualcuno vuole erigere ancora”. Stefano Bonaccini racconta invece di quando militava nella “sinistra giovanile di allora”, quella comunista ovviamente, sottolineando che oggi è il momento di “costruire ponti”. Lo stesso dice Cecilia Strada, ricordando che esistono ancora troppi muri nel mondo. Giorgio Gori poi cita l’aneddoto della sua presenza al concerto dei Pink Floyd di qualche mese dopo. Per Pierfrancesco Maran c’è bisogno ancora di lottare per la libertà in quei Paesi che ancora non l’hanno conosciuta, mentre Dario Nardella dice di aver raccolto un pezzetto di muro di Berlino durante un suo viaggio nella città. Marco Tarquinio racconta di essere diventato padre di lì a poco. Sandro Ruotolo è l’unico che cita l’Unione Sovietica, ma di comunismo neanche l’ombra. Senza neppure ricordare che i popoli che adesso sono ancora sotto dittature, sono ancora soggiogati da sistemi comunisti: dalla Cina al Venezuela fino alla Corea del Nord, la storia non cambia.

Due pesi, due misure, come sempre

Allora, viene da chiedersi perché i dem accusino ancora la destra di non aver fatto i conti con il passato, volendo quasi scrivere il discorso che Giorgia Meloni deve pronunciare quando arriva il 25 aprile, ma poi diventano freddi quando si tratta di condannare le azioni e i crimini del comunismo. In questo caso, con il Muro di Berlino, costruito affinché coloro che vivevano nella Germania dell’Est non avessero la malsana idea di trasferirsi in Occidente. Ma anche quando si tratta di foibe, di commemorare i delitti commessi dalle truppe jugoslave, o quando si tratta di ritirare le onorificenze al dittatore Tito. Due pesi, due misure, come sempre.

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