Napoli, cronache da una città “orfana” di valori

“Non possiamo arrenderci a questa spirale di violenza e morte”, dice don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli. “dobbiamo unirci per salvare la nostra città, soprattutto i nostri figli”. Violenza, e ancora violenza: Emanuele ucciso a solo 15 anni più di una settimana fa. Santo ammazzato a 19 anni a San Sebastiano al Vesuvio l’altra notte. «Bisogna disarmare Napoli. Bisogna disarmare i nostri territori. Bisogna deporre le armi. Fa male. C’è una tristezza impressionante in tutto questo ma non dobbiamo rassegnarci. Non sarà la violenza a vincere» ha ribadito l’arcivescovo di Napoli.

L’ennesima sparatoria tra ragazzini che dovrebbero andare a scuola, fare i compiti e giocare a pallone. L’ennesimo efferato crimine, che come ha detto il prefetto, «provoca una profonda scossa alla città e interpella ognuno di noi».

Baby gang, branco,soprusi, ovunque aggressioni in pieno giorno, senza pudore, senza vergogna. Quando leggevamo dai giornali che in altre parti del mondo, come in Brasile, i ninos de rua si accoltellavano, ci sembrava una cosa assurda, lontana, e invece sta succedendo da noi. ’E criature song ’e Dio, e quando è un ragazzino a morire per niente, è Dio che muore. I ragazzi di strada ci sono sempre stati, dire scugnizzi è dire parola nata in questa terra dolce e amara capace di descrivere da sola tutti i ragazzi scombinati della terra. Ed è anche vero che ieri forse apparentemente facevano più paura di oggi: nudi, scalzi, i piedi coperti di piaghe, servi di uomini senza scrupoli che li usavano per ogni nefandezza.

Conoscevano ogni vizio anche gli innominabili. Il rione Carità, la Sanità, il Mercato, i Quartieri Spagnoli, Forcella o il Pallonetto di Santa Lucia spazi da presidiare oltre la rumba.

Gli scugnizzi non sapevano scrivere, non sapevano leggere, avevano imparato presto l’arte di arrangiarsi e certo da sempre sono stati l’espressione più eloquente dei grandi problemi in cui si è dibattuta la nostra terra ma forse a differenza di quello che sta avvenendo oggi, avevano la loro cultura, fatta di strada, di terra e di sole.

Per qualcuno era di sicura cultura malata, sbagliata, infetta, come i cenci che portavano addosso, ma comunque sapeva di urlo, di protesta. E poi c’erano le madri, c’erano loro dove la legge latitava, dove lo Stato non riusciva a organizzare convivenza civile, dove la chiesa, la scuola non riuscivano a passare una parola di senso: dire mamma a Napoli era dire casa. E le madri di Napoli, quelle del popolo o della nobiltà, erano carnali, feroci nel loro essere possessive e protettrici dei loro figli: cambiavano i Signori che comandavano questa città, ma chi davvero regnava erano le madri, loro facevano le leggi.

 Anche quando avevi avuto la disgrazia di perdere la madre, di non averla mai conosciuta, questa città non ti lasciava senza, te ne dava subito una e diventavi figlio della Madonna. La guerra, gli americani, le nuove dinamiche di famiglia e di cultura che cambieranno progressivamente il volto della nostra terra, piano piano, qui più che altrove, hanno trasformato la città senza famiglia, senza madre, in terra di nessuno.

Le madri sono state l’arma segreta di questa città. Come chiocce hanno protetto con tutto quello che avevano, fino al dono di sé, la libertà e la dignità delle loro famiglie. Alla mancanza di uno Stato forte sopperiva il calore della famiglia e delle sue regole.

Tutta Napoli era una grande tribù che si muoveva come corpo composito formato da miriadi di cellule in sé perfettamente organizzate con le proprie leggi, le proprie tradizioni e le proprie usanze.

Intorno alla madre un’infinita varietà di personaggi più o meno importanti roteavano e offrivano gerarchie di ruoli e valori. Il padre e il marito, prima di tutto, fatto uomo da una grande donna. Dai nonni agli zii, dai cugini carnali a quelli lontani, dalle comari ai compari.

Oggi, con la crisi della famiglia, Napoli è a rischio di maternità, non c’è chi la governa, chi l’ami veramente, soli si resta soli, e i figli sono allo sbando. Nessuna legge potrà ricondurre la città all’ordine senza la figura materna, senza la sua lotta, il suo sacrificio, nessuna regola o repressione, nessun figlio ritornerà a casa se non c’è qualcuno che l’aspetti.

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Giovanni Curzio
Giovanni Curzio
Giovanni Curzio, 21 anni, napoletano, studente alla facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Da sempre è appassionato di giornalismo sia di cronaca che sportivo. Collabora anche con agenzie di stampa ed emittenti radiofoniche e televisive della Campania.

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