Questa mattina nella sede della prefettura di Napoli, il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha presieduto una riunione con il Sindaco Gaetano Manfredi e i vertici di prefettura, questura e comandi provinciali delle forze dell’ordine. Durante l’incontro è stato messo a punto un piano straordinario di attività per fronteggiare il fenomeno della violenza giovanile nell’area metropolitana. In particolare, il titolare del Viminale ha dato indicazioni affinché siano intensificate le operazioni ad alto impatto nelle zone sensibili e ci sia un nuovo impulso ai servizi di controllo del territorio soprattutto in orario notturno e in particolare nelle aree di maggior frequentazione giovanile. Inoltre, durante il vertice sono state poste le basi per un significativo potenziamento del sistema di video-sorveglianza da realizzare in pochi mesi in città.
Intanto, si fatica ancora a trovare le parole giuste per descrivere e commentare quest’ultimo, terrificante episodio di cronaca nera a Napoli. Eppure, in questi giorni non sono mancate marce anticamorra, incontri nelle scuole, vertici delle istituzioni.
Il problema è che loro, i giovani con le pistole, vivono in un mondo parallelo. Parlano una lingua diversa. Hanno ingaggiato una vera e propria guerra con la società dalla quale si sono sentiti – o si sono – esclusi. Un mondo dove finanche il linguaggio, i motteggi, le smorfie, i gesti, le affettuosità vanno interpretati. E questo armamentario particolare li fa sentire gruppo, famiglia, gang, banda. Zeppi di rabbia e di rancore verso una società dalla quale, da sempre si sono sentiti emarginati, hanno trovato la via del “riscatto”.
Le loro famiglie, cin stridenti problematiche alle spalle, non hanno saputo o potuto educarli. La scuola ha fatto il possibile, ma poi, in certi casi, ha dovuto alzare bandiera bianca. Non ce l’ha fatta. Tanti insegnanti hanno dovuto difendersi da certi genitori che mal sopportano anche il minimo rimprovero fatto al figlio in classe. La Chiesa ha dovuto assistere al loro esodo appena hanno raggiunto l’adolescenza. Il mondo del lavoro non li ha considerati. Il Paese si è accontentato di un’apparenza di pace. Finché non ci scappa il morto, siamo tutti propensi a dire che, in fondo, le cose vanno bene. Il confronto, poi, con la Napoli in preda alla camorra sanguinaria degli anni passati non ci aiuta.
Tante personalità della politica e del mondo della cultura, intervistati, hanno detto che siamo di fronte a una nuova emergenza. Che sia una emergenza è sotto gli occhi di tutti; che sia nuova, non pare. Perché Napoli, da sempre, soffre di queste sopraffazioni che la tengono come incatenata, e non le fanno spiccare il volo.
«Abbiamo paura», ci dicono le mamme. «Abbiamo paura», ripetono tanti bravi figlioli che studiano e la sera vorrebbero uscire a fare quattro passi. Hanno ragione da vendere. Occorrerebbero un esercito di carabinieri e poliziotti, e un esercito di insegnati motivati e assistenti sociali preparati. Occorre avere uno sguardo d’insieme. Occorre avere il coraggio della verità, anche quando a qualcuno potrebbe non piacere. I quartieri a rischio non hanno mai smesso di partorire violenza, com’era prevedibile.
In definitiva, sotto accusa ci sono le omissioni della politica locale, da Bassolino a Manfredi, passando per Rosetta Russo Iervolino e De Magistris, che negli anni si è lavata le mani del mondo minorile problematico, ci stanno presentando il conto. Un conto salatissimo, che senza pietà, pretende anche gli interessi.