Si è rivelata significativa e ha creato un certo scalpore la votazione dell’assemblea delle Nazioni Unite che ha sostanzialmente chiesto a Israele il cessate il fuoco nel territorio della Striscia di Gaza. Ancora più attenzione mediatica ha destato l’astensione degli Stati Uniti presso il Palazzo di Vetro, anche perché Washington è solita prendere sempre una posizione, di norma favorevole, quando in ballo vi è lo Stato ebraico.
Il governo israeliano di Benjamin Netanyahu non ha per nulla gradito il voto ONU e neppure l’astensione americana, affermando in maniera pubblica il proprio disappunto. L’informazione, italiana e non solo, in particolare quella che non ha mai sopportato più di tanto la figura politica di Netanyahu e il suo ultimo esecutivo parecchio spostato a destra, non ha esitato nel descrivere il premier israeliano come un uomo ormai rimasto solo, isolato in Patria e lasciato al proprio destino persino dagli USA, gli amici di sempre o quasi.
E’ proprio così? No di certo, sebbene debba essere fatto un ragionamento circa alcune perplessità, senza dubbio reali, che riguardano il giudizio, sia dell’Amministrazione Biden che dei governi europei, sulle operazioni militari di Israele nella Striscia di Gaza. Subito dopo i sanguinosi attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso, accompagnati da stupri, violenze bestiali di ogni tipo e sequestri di persona, nessuno, né in America e nemmeno in Europa, ha dubitato della necessità di una risposta militare israeliana, e, diciamolo pure, in molti, al di qua e al di là dell’Atlantico, hanno sperato nell’annientamento del cancro terroristico rappresentato dagli uomini di Ismail Haniyeh. Hamas ha iniziato questa terribile guerra, lo ha ricordato di recente la premier italiana Giorgia Meloni, e il brutale assalto del 7 ottobre non poteva non ricevere una reazione. Vi è stato solo l’invito, da parte anzitutto dell’Italia e di altri, di non finire con il fare il gioco di Hamas, cioè, di fare attenzione a non disperdere i risultati raggiunti dagli Accordi di Abramo, organizzati dalla Amministrazione USA di Donald Trump, che hanno reso possibile una importante distensione, dall’indubitabile valore storico, fra Israele, Bahrein e Emirati Arabi Uniti, con il consenso abbastanza palese dell’Arabia Saudita.
Hamas vuole l’esatto contrario di tutto questo, ovvero, il totale isolamento di Gerusalemme nel mondo arabo. Però, la guerra nella Striscia di Gaza si sta rivelando piuttosto lunga e comporta inevitabilmente un alto numero di morti, non perché Netanyahu sia un genocida, come vorrebbe far credere una certa propaganda, ma a causa di un territorio piccolo e densamente popolato, e senza dimenticare mai l’uso dei civili come scudi umani da parte dei terroristi. Le tempistiche sono incerte e, sebbene alcuni esponenti, anche di rilievo, di Hamas siano già stati eliminati dall’IDF, le Forze Armate dello Stato d’Israele, l’organizzazione di Haniyeh non risulta essere ancora del tutto debellata. Lo Stato ebraico è abituato sin dalla propria fondazione ad essere circondato solo da nemici, ma ora la situazione è assai impegnativa per Gerusalemme perché, oltre alle operazioni a Gaza, Israele si deve difendere anche dagli Hezbollah del Libano e da pericoli provenienti dalla Siria. In ogni caso, dalla non ancora avvenuta cancellazione di Hamas sono sorti i dubbi, sia americani che europei, ma non si può parlare di un Benjamin Netanyahu messo dietro alla lavagna o ripudiato dal presidente USA Joe Biden.
La votazione ONU e l’astensione di Washington hanno fatto calare subito il gelo fra Netanyahu e Biden, questo è vero, ma la frattura si sta già ricomponendo. Il premier israeliano valuta di riprogrammare una sua visita presso la Casa Bianca e il Washington Post ha pubblicato la notizia di un nuovo invio di armamenti e aerei americani a Israele.