No, non è vero che le banche pagano il 50% di tasse

Sabato 3 agosto, il vicedirettore generale vicario dell’Abi, Gianfranco Torriero, ha parlato dell’elevata tassazione che grava sui redditi prodotti dalle banche, affermando che anche per le società non finanziare la tassazione è elevata ma di 4 punti percentuali inferiore. Sarà proprio così?

Lo scorso sabato Unimpresa ha reso noti alcuni dati di un paper realizzato dal proprio centro studi relativo alla tassazione che grava sul sistema bancario italiano. È sufficiente leggere il primo paragrafo del rapporto, che campeggia sul sito di Unimpresa, per avere chiaro il quadro della situazione: “Pressione fiscale ‘paradisiaca’ per le banche italiane. Nel 2023, gli istituti di credito del nostro Paese hanno realizzato, complessivamente, 40,6 miliardi di euro di utili, a fronte dei quali hanno pagato solo 8,1 miliardi di imposte. Ne consegue che il tax rate, cioè il rapporto tra tasse versate nelle casse dello Stato e profitti, è stato pari al 20,1%”.

Certo, il dato sopra citato potrebbe essere una casualità, potrebbe essere frutto di un anno fortunato per le nostre banche. Per correttezza, è quindi necessario ampliare il periodo osservato. A tal proposito, proseguendo nella lettura del rapporto, si legge: ”Negli ultimi sei anni, il totale dei versamenti del settore bancario al fisco è di 22,6 miliardi ovvero il 19,6% dell’utile conseguito, pari complessivamente a 115,69 miliardi”. Vabbè, periodo fortunato…

Probabilmente, proprio per rispondere indirettamente a quanto emerso dal rapporto di Unimpresa, sempre sabato scorso il vicedirettore generale vicario dell’Abi, Gianfranco Torriero, con una nota pubblicata sul sito dell’Associazione bancaria italiana si è affrettato ad affermare che “un risparmiatore che investe in azioni bancarie subisce una tassazione di oltre il 50%. Sul reddito prodotto dalle banche si sommano varie e maggiori imposte rispetto alle imprese degli altri settori economici: l’Ires (24%), l’addizionale Ires per le banche (3,50%), l’Irap (5,45%, che include, rispetto all’aliquota ordinaria una ulteriore maggiore per le banche) e la cedolare secca sui dividendi (26%)”. Cos’è il genio, tentare di confondere le acque parlando prima di tassazione sui risparmiatori e poi di imposte reddito prodotto dalle banche per passare in un colpo solo da meno del 23% (Ires compresa di addizionale + Irap) al 50% di aliquota, nel tentativo, sfacciato ma nemmeno molto convinto né tantomeno convincente, di far credere che sia quella la pressione fiscale che grava sulle banche italiane. Ma non è così, perché, come affermato da Unimpresa, quella è una “pressione fiscale paradisiaca” che si aggira intorno al 20%.

Verrebbe da dire, “Excusatio non petita, accusatio manifesta”.

1 commento

  1. Molto interessante.
    Ma ancora più interessante sarebbe capire come a fronte di una imposizione nominale di 24% di IRES più 3,50% di addizionale più 5,45% di IRAP, totale circa 33%, ci sia un prelievo fiscale inferiore al 20%.
    Chiedo troppo alla Redazione della Voce se domando di approfondire come facciano le Banche ad autoridursi le aliquote? Sarebbe istruttivo, magari posso imparare anch’io….

    Con affetto

    Alessandro

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