Lo scorso sabato Unimpresa ha reso noti alcuni dati di un paper realizzato dal proprio centro studi relativo alla tassazione che grava sul sistema bancario italiano. È sufficiente leggere il primo paragrafo del rapporto, che campeggia sul sito di Unimpresa, per avere chiaro il quadro della situazione: “Pressione fiscale ‘paradisiaca’ per le banche italiane. Nel 2023, gli istituti di credito del nostro Paese hanno realizzato, complessivamente, 40,6 miliardi di euro di utili, a fronte dei quali hanno pagato solo 8,1 miliardi di imposte. Ne consegue che il tax rate, cioè il rapporto tra tasse versate nelle casse dello Stato e profitti, è stato pari al 20,1%”.
Certo, il dato sopra citato potrebbe essere una casualità, potrebbe essere frutto di un anno fortunato per le nostre banche. Per correttezza, è quindi necessario ampliare il periodo osservato. A tal proposito, proseguendo nella lettura del rapporto, si legge: ”Negli ultimi sei anni, il totale dei versamenti del settore bancario al fisco è di 22,6 miliardi ovvero il 19,6% dell’utile conseguito, pari complessivamente a 115,69 miliardi”. Vabbè, periodo fortunato…
Probabilmente, proprio per rispondere indirettamente a quanto emerso dal rapporto di Unimpresa, sempre sabato scorso il vicedirettore generale vicario dell’Abi, Gianfranco Torriero, con una nota pubblicata sul sito dell’Associazione bancaria italiana si è affrettato ad affermare che “un risparmiatore che investe in azioni bancarie subisce una tassazione di oltre il 50%. Sul reddito prodotto dalle banche si sommano varie e maggiori imposte rispetto alle imprese degli altri settori economici: l’Ires (24%), l’addizionale Ires per le banche (3,50%), l’Irap (5,45%, che include, rispetto all’aliquota ordinaria una ulteriore maggiore per le banche) e la cedolare secca sui dividendi (26%)”. Cos’è il genio, tentare di confondere le acque parlando prima di tassazione sui risparmiatori e poi di imposte reddito prodotto dalle banche per passare in un colpo solo da meno del 23% (Ires compresa di addizionale + Irap) al 50% di aliquota, nel tentativo, sfacciato ma nemmeno molto convinto né tantomeno convincente, di far credere che sia quella la pressione fiscale che grava sulle banche italiane. Ma non è così, perché, come affermato da Unimpresa, quella è una “pressione fiscale paradisiaca” che si aggira intorno al 20%.
Verrebbe da dire, “Excusatio non petita, accusatio manifesta”.
Molto interessante.
Ma ancora più interessante sarebbe capire come a fronte di una imposizione nominale di 24% di IRES più 3,50% di addizionale più 5,45% di IRAP, totale circa 33%, ci sia un prelievo fiscale inferiore al 20%.
Chiedo troppo alla Redazione della Voce se domando di approfondire come facciano le Banche ad autoridursi le aliquote? Sarebbe istruttivo, magari posso imparare anch’io….
Con affetto
Alessandro