Che non ne azzecchino una quando si tratta di fare qualcosa di pratico per la Nazione, è sotto gli occhi di tutti dai tempi di Pizzarotti, il primo sindaco grillino di una città come Parma, che poi loro stessi misero “fuori dalla porta di casa” quando quello si rese conto di non poter seguire il programma che aveva sbandierato in campagna elettorale. E si è andati avanti così, fino ad arrivare ai clamorosi disastri della Raggi e dell’Appendino. Entrambe queste due graziose – ma un po’ “asprigne” – signore sembravano davvero una battaglia vinta per un futuro diverso.
Immaginate. Roma, Caput Mundi, e per la prima volta un sindaco donna, ma non solo, una donna giovane e perfino sconosciuta. Un’oscura avvocatella e oscura consigliera comunale da una stagione, ma cavallo vincente del Movimento 5stelle. Sia chiaro, i 5stelle avrebbero vinto anche se avessero presentato il triunvirato di Pippo, Pluto e Paperino, ma comunque fu uno choc per l’elettorato che ha sempre visto i 5stelle per quello che sono: un’accozzaglia di gente a cui non frega assolutamente nulla che le cose vadano meglio. Gli basta, e lo pretende, che vadano peggio a te, e a tutti quelli che stanno meglio. Si chiama invidia sociale. Esiste da sempre. Nei periodi di recessione e difficoltà economica come quello che ormai stiamo attraversando da un bel po’, diventa più cattivo, più evidente, e quindi più facile da “cavalcare” se hai lo stomaco di afferrare l’occasione al volo e, diciamolo pure, anche l’intelligenza di sapertela gestire, almeno in un primo momento, cosa che Beppe Grillo e Casaleggio – soprattutto quest’ultimo – hanno fatto alla grande. Casaleggio è stato un novello Richelieu, perfino di un certo spessore, con una visione almeno apparentemente utopica ma in realtà molto più pragmatica di quanto apparisse. Forse, dopo un primo periodo di becero populismo tutto gestito a suon di urli, parolacce, minacce, promesse inattuabili, sarebbe anche riuscito a portare il Movimento su binari accettabili, ma purtroppo è morto troppo presto, e così si è persa ogni speranza.
Ci ritroviamo un partito di maggioranza votato in buona parte “per dispetto”, o su promesse che “la manna dal cielo” è roba da dilettanti, popolato da figure improponibili anche come capi scala in un’assemblea di condominio al Laurentino 38, gente che non ha la minima idea di cosa sia la storia, l’economia, la finanza, la diplomazia, tanto meno la politica e la programmazione di un intero Stato per altro in evidente difficoltà.
E quando un partito del genere te lo ritrovi al governo, è proprio il momento di cominciare a pregare. Inutile sarebbe spiegare a Di Maio – uno dei nostri vicepresidenti del Consiglio, nonché ministro del lavoro – che è diverso incontrare il capo di un partito straniero di opposizione rispetto incontrare un capo black block, tanto per far capire come i francesi vedono i Gilets Jaunes. Inutile dire a Di Battista che parlando dell’alleato di governo non puoi dire davanti a telecamere e microfoni “Se alla Lega va bene così altrimenti vada fuori dai coglioni…” Non puoi nemmeno spiegare alla Paola Taverna che durante un comizio non si può dire rivolto al sindaco precedente “Ma va a morì ammazzato” e, subito dopo, affinché il concetto sia chiaro “ma nu me rompe li cojoni”. Non capirebbero nemmeno con un disegno. Inseguono con ogni mezzo il consenso popolare che permetterà loro di fare carne di porco di questa Nazione, e niente più. E se parolacce, castronerie, ignoranza, casini di tutti i tipi servono allo scopo, ben vengano.
E noi che grillini non siamo? Beh, per dirla come loro “ci attacchiamo”. Dove? Decidetelo voi.