Non è ricattabile

Secondo i maligni doveva essere un fuoco di sbarramento, un monito lanciato in faccia al governo per fermare, o perlomeno rallentare, la “madre di tutte le riforme”: la separazione delle carriere, fiore all’occhiello e bandiera storica del centrodestra. Invece, l’avviso di garanzia che ha raggiunto con tempismo perfetto Giorgia Meloni, insieme ai ministri Nordio, Piantedosi e al sottosegretario Mantovano, non ha sortito l’effetto – secondo le malelingue – di gettare nel panico l’Esecutivo.

La reazione è stata fulminea: “Non sono ricattabile”. Uno slogan che suona come un avvertimento a chi scommetteva su una Premier intimidita. Niente affatto: Meloni non arretra e dimostra che la battaglia contro le correnti e il “patto di potere” radicato in certi ambienti giudiziari è tutt’altro che in bilico.

Lo si era capito da qualche tempo, osservando le fibrillazioni dell’Associazione nazionale magistrati. Le recenti elezioni per il rinnovo del comitato direttivo hanno consegnato a Magistratura Indipendente (la corrente “di destra”) i numeri più alti. Una vittoria che ha infiammato i rapporti interni e aumentato le tensioni con l’ala progressista, spaccata fra Area e Magistratura Democratica. Le toghe, in questa fase delicatissima, non sembrano trovare un baricentro: da un lato la corrente filogovernativa, rafforzata dal voto; dall’altro i gruppi che sventolano la bandiera dell’opposizione alla riforma, soprattutto la separazione delle carriere, vista come uno strappo irrimediabile all’unità del corpo magistratuale.In parallelo, con il primo via libera dalla Camera alla modifica costituzionale, la riforma Nordio è di fatto partita.

La separazione in due Consigli superiori, uno per i giudici e uno per i pm, più il sorteggio di alcuni membri e l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare sono temi che da sempre fanno tremare le correnti.

E proprio in questo clima è arrivato l’avviso di garanzia sul caso Almasri, scatenando lo tsunami: una notifica “dovuta”, puntualizzano i magistrati romani, ma che arriva in un momento perfetto per confermare la guerra fredda (ora divenuta quasi calda) tra politica e toghe.La storia del comandante libico Najeem Osema Almasri Habish ha agito da detonatore. Prima catturato su mandato della Corte penale internazionale, poi rimesso in libertà dai giudici, infine accompagnato fuori dai confini italiani con un aereo di Stato.

Una vicenda su cui l’Esecutivo si è già espresso più volte, spiegando che il generale rappresentasse un pericolo e che la competenza sul suo futuro fosse della Corte penale internazionale.

Eppure, ecco partire l’esposto per favoreggiamento e peculato. L’accusa? Avere aiutato il libico a sottrarsi alle indagini internazionali, per di più utilizzando fondi e mezzi dello Stato.Nelle stesse ore, al Senato, la riforma sulla separazione delle carriere prosegue il suo iter.

Un caso, una coincidenza, un destino? A sentire il centrodestra, “si tratta di una ripicca che non ci fermerà”, tuona la maggioranza in coro. A questo punto non c’è via di uscita: o si prosegue senza tentennamenti, oppure si cede terreno di fronte all’assedio giudiziario.

E il governo Meloni, si capisce, non ha alcuna intenzione di arretrare.

Non a caso il messaggio di Giorgia Meloni riassume tutto in quattro parole: “Non sono ricattabile”.

Lo aveva già detto all’inizio della legislatura, confermandosi immune a pressioni di ogni sorta. Ora, però, la posta in gioco è più alta: un avviso di garanzia – definito “atto dovuto” – che minaccia di trascinare il premier e pezzi del suo Governo direttamente davanti al Tribunale dei Ministri.

La maggioranza parla di “giustizia a orologeria”, di uso politico delle procure, di calcolo tattico per provare a frenare chi preme sull’acceleratore delle riforme.

Uno scontro di poteri oppure un atto fisiologico? È la domanda che aleggia pesante sulle Istituzioni. Gli scontri tra politica e magistratura non sono una novità in Italia. Ogni governo che ha cercato di avviare riforme strutturali del sistema giudiziario, dalle correnti al CSM, ha sempre dovuto fare i conti con una certa resistenza. Di fisiologico, però, in questa fase sembra esserci ben poco. Dall’affaire Santanchè alle inchieste aperte a catena, al caso Almasri, i segnali che il contenzioso tra governi di centrodestra e procure resti una ferita mai sanata ci sono tutti.

Intanto, l’Associazione nazionale magistrati dovrà scegliere i propri vertici e il tema è se si troverà una convergenza su un esecutivo unitario oppure se la spaccatura interna si farà definitiva. Lo specchio di un corpo magistratuale sempre più diviso sul ruolo da interpretare: difendere a oltranza lo status quo o confrontarsi con una riforma che promette di “rompere il legame patologico delle correnti”, citando Nordio.

La maggioranza, dal canto suo, non sembra disposta a cedere un millimetro: la volontà di rinnovare un sistema considerato “bloccato” e “autoreferenziale” è incisa a chiare lettere nel programma di governo, e adesso è rafforzata dai numeri in Parlamento. Difficilmente l’impasse creata da un fascicolo giudiziario fermerà la scrittura delle nuove regole per il CSM e i magistrati.Se qualcuno sperava che bastasse un avviso di garanzia per far barcollare Giorgia Meloni, ha sbagliato i conti.

Con il suo “Non sono ricattabile”, la Premier ribalta gli equilibri dell’offensiva giudiziaria, trasformandola in un boomerang per chi pensava di frenare la riforma. La partita si gioca ad altissima tensione, e i prossimi giorni diranno se il Paese è condannato all’ennesima resa dei conti fra poteri dello Stato o se, finalmente, riuscirà a superare uno scontro che dura da troppi decenni. Una cosa è certa: a Palazzo Chigi, almeno per ora, il vento della paura non soffia.

Ed è Meloni a rivendicarlo a voce alta.

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Ulderico de Laurentiis
Ulderico de Laurentiishttp://www.uldericodelaurentiis.it
Direttore Responsabile de "La Voce del Patriota".

1 commento

  1. ATTACCO FRONTALE ALLA DEMOCRAZIA
    I Brigatisti rossi,abbandonato il mitra,si sono armati di
    timbri e atti giudiziari: armi altrettanto temibili.
    Proponibile è l’idea di dichiarare uno stato di emergenza democratica:
    democrazia plurale si intende.
    Nel contempo occorre proteggere diverse categorie di cittadini,
    principalmente chi fa politica ad alto livello ma anche imprenditori,
    giornalisti o altro: questo nell’interesse generale.
    Agiscano quindi coloro preposti alle riforme con provvedimenti urgenti.
    Si attende anche una presa di posizione del Presidente della Repubblica.

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