Occupazione, l’Italia torna in pista: ora al lavoro per aumentare i salari

Più di un milione di posti nei primi sei mesi del 2023. Un risultato confermato dall’autorevole fonte dell’Osservatorio dell’Inps, che potremmo definire come la prima fonte a cui attingere per valutare l’andamento economico-lavorativo dell’Italia.

Stando a quanto riportato dalle statistiche fornite dall’Istituto previdenziale: “A giugno 2023 si è registrato un saldo positivo, vale a dire la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi mesi, di circa un milione di contratti”.

Nel documento di riferimento si legge: “Complessivamente le assunzioni sono state 4.287.000, in leggera flessione rispetto allo stesso periodo del 2022 (-1%), ma comunque superiori al livello prepandemico del primo semestre del 2019”, e “le cessazioni sono state 3.286.000, in diminuzione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-3%)”.

C’è stata quindi una particolare congiuntura tra assunzioni e cessazioni che, grazie alle nuove misure prese in campo occupazionale, ha permesso di creare maggiori posti di lavoro rispetto a quelli disponibili in quanto rimasti vuoti per le cessazioni. Un risultato che deriva dalla nuova visione della politica del centrodestra, che si è occupata fin dall’inizio di garantire all’Italia un maggiore e innovativo slancio sul fronte lavorativo.

È perciò evidente che le politiche del governo stanno funzionando, producendo ottimi frutti anche sul fronte occupazionale, forse uno dei più complessi da affrontare data la immobilità che lo caratterizza da svariati anni a causa della mala gestione e della poca attenzione da parte delle istituzioni.

Come dichiarato dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari in una recente intervista su Libero: “I salari in Italia sono indegni”.

Un’affermazione a cui c’è poco da ribattere e che, drammaticamente, trova conferma anche nei dati. Tant’è che secondo i dati Ocse l’Italia è l’unico paese che nel periodo 1990-2020 ha subito una contrazione del 2.9%. Al contrario, altri paesi hanno avuto un miglioramento su questo versante. Addirittura la Lituania ha sperimentato un picco del +274,3%. Ma anche Germania (+33.75), Francia (+31.1%) e Spagna (+6.2%), a fronte di una media di crescita del +13%, hanno proseguito in salita. Questi dati dunque sono l’ennesima prova di come nelle politiche messe in campo fino al primo anno di pandemia, e nel decennio precedente, qualcosa non deve aver funzionato.

Tutto ciò “non può certo dipendere da chi governa da pochi mesi”, ha spiegato il senatore di Fdi. Piuttosto, la responsabilità dovrebbe essere assunta da quelli che oggi accusano che “negli ultimi dieci anni gli stipendi sono saliti in tutta Europa tranne che in Italia”. Ma dove erano quando succedeva tutto questo? Facile: “Al governo…”

Oggi fortunatamente la tendenza è cambiata ed esiste una maggioranza coesa che si impegna per rendere il nostro Paese sempre più produttivo e competitivo, offrendo maggiori e più concrete opportunità nel settore lavorativo.      
L’obiettivo, come ripetuto più volte anche dal Presidente del Consiglio, oggi non deve tanto essere istituire un salario minimo legale, quanto alzare gli stipendi bassi e combattere la povertà, garantendo stipendi dignitosi. E perché no, anche rinnovare contratti bloccati da anni e anni che mal si adattano alle nuove condizioni in cui si trova il Paese.         

La direzione per centrare tale obiettivo è stata già segnata grazie alle importanti misure della riduzione del cuneo fiscale e dei numerosi incentivi a supporto alle famiglie e imprese. Sono questi primi importanti passi che in meno di un anno hanno portato gli italiani a sperimentare un nuovo e maggiore senso di fiducia verso lo Stato, ora più vicino che mai ai loro bisogni e alle loro giuste ambizioni. Il percorso per ri-portare in alto l’Italia è senza dubbio difficoltoso e non privo di ostacoli. Ma di certo, la vista sarà invidiabile.

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