Parentocrazia dem, i parenti di Kamala non sono un problema per la stampa di sinistra

Si parla parecchio di parentocrazia negli ultimi giorni, con la sinistra italiana inferocita con Arianna Meloni, sorella della premier che però non ricopre incarichi istituzionali di governo o in Parlamento, ma semplicemente un ruolo politico all’interno del partito di cui Giorgia è presidente, e dunque vige il principio “cathedra meae regulae meae”. Raffaella Paita, alla ribalta della cronaca dopo che Sallusti, nel suo controverso editoriale, ha ripreso le sue dichiarazioni da senatrice di Italia Viva contro Arianna Meloni, è stata tra le prime a parlare di parentocrazia. E come lei chiunque ha pensato di bene di riportare in Aula, in Parlamento, le accuse di “favoritismi” e di “traffico di influenze” che i giornali di sinistra si sono inventati nei confronti della sorella della premier. E da mesi e mesi pure la stampa progressista si lamenta del ruolo di Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e marito di Arianna.

Due pesi, due misure

Ma se questa presunta parentocrazia viene da sinistra, ovviamente quegli stessi che lamentano influenze e favoritismi, tacciono nel classico silenzio ipocrita, nella classe visione ideologica della realtà. Non ci sono cose buone o meno buone, ma persone buone e cattive: alle prime va perdonato tutto, alle seconde non va riconosciuto niente. E tra le prime, un ruolo privilegiato l’ha conquistato (e lo terrà fino a novembre) la vicepresidente americana Kamala Harris. La sua posizione anti-Trump vale oro per la sinistra e dunque si va sul “due pesi e due misure”: anche lei dà vita alla parentocrazia, ma per la stampa progressista non pare essere più un problema.

Sorelle, cognati, nipoti

Kamala è costantemente affiancata dalla sorella, Maya Harris, sempre pronta ad appoggiare la vicepresidente americana ancora prima che lo diventasse con il suo attivismo politica, fino a ricevere un ruolo da responsabile della campagna elettorale nella disastrosa corsa alle primarie nel 2019. Ed è tornata adesso, in questa nuova campagna elettorale che vede Kamala protagonista, tanto che Maya affianca la sorella persino nei colloqui per la scelta del nuovo candidato vicepresidente, Tim Walz. A fare loro compagnia c’è anche Tony West, marito di Maya e dunque cognato della candidata democratica. Anche se nessuno della stampa, tantomeno quella italiana, si è sognato di definirlo “cognato d’Italia”. West non è un semplice spettatore: tra il 2012 e il 2014 ha ricoperto il ruolo di procuratore associato nel dipartimento di Giustizia sotto Obama. Afroamericano 59enne, si è laureato ad Harvard e a Stanford e ora si ritrova ad essere capo dell’ufficio legale di Pepsi e ai vertici di Uber, dal quale si è però preso una pausa per seguire la campagna elettorale, senza che nessuno lo accusi di conflitto di interessi, come sarebbe successo se West fosse stato italiano e di destra. L’avvocato dem ora è impegnato nella campagna elettorale della cognata Kamala, la affianca nella scelta del vicepresidente, segue le riunioni e le convention e, secondo i rumors, potrebbe ricevere anche un incarico di governo. C’è anche la nipote di Kamala, figlia di Maya, Meena Harris, che è in questo momento il ponte tra la zia e la Silicon Valley. E infine c’è Valerie Biden, sorella di Joe, consigliere e responsabile delle sue campagne elettorali. Insomma, anche negli Usa, la patria della meritocrazia (e forse proprio per questo) ci sono casi di parentocrazia, che è accettata solo se è dem. È la solita, classica, ripetitiva ipocrisia della sinistra.

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